Nella scorsa puntata ho parlato dei misteriosi elenchi di citazioni alla fine dei libri. Nel caso siate nuovi qui, ecco una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che trovi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. E se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere le prossime uscite di questa newsletter nella tua casella di posta cliccando qui. Ti segnalo anche un saggio che ho scritto insieme a un amico: si chiama Storie false (Mimesis, 2024) e lo si trova qui sul sito dell’editore o negli altri luoghi dove si vendono libri.

Ho trovato Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi (Laurana, 2022) una delle uscite più interessanti degli ultimi anni nella narrativa italiana. Insieme a I miei stupidi intenti di Bernardo Zannoni (Sellerio, 2021) aveva il pregio di provare qualcosa di nuovo con buoni risultati, una boccata d’aria rispetto alla letteratura da tinello che bisogna sorbirsi da molti degli autori italiani più quotati.
Il prossimo giugno dovrebbe uscire il nuovo libro di Griffi e qui lo si attende fiduciosi. A dire il vero, anche un po’ in apprensione, sia perché dal suo precedente sono passati solo un paio d’anni – che non è molto, per scrivere un bel libro – sia perché a settembre 2023 avevo letto un altro testo suo, più recente, e mi era sembrato piuttosto noioso. E nel frattempo Zannoni ha fatto un passo falso con 25, il tremendo testo adolescenziale uscito dopo il libro del successo: la fretta del mercato editoriale odierno lo ha spinto – come mi è stato confermato da chi è meglio informato di me – a pubblicare qualcosa che aveva scritto in precedenza e l’acerbità si vede.
Ferrovie del Messico era notevole anche perché pubblicato da casa editrice piccola e relativamente recente – nata nel 2010 – che si chiama Laurana (nel frattempo Griffi è passato a Einaudi). Sulla fiducia allora ho letto un altro titolo della stessa collana «Fremen», ovvero Lo splendore: I. L'infanzia di Hans di Pier Paolo Di Mino (Laurana, 2024, 680 pp.).
La storia dello Splendore è ambientata nella Germania tra seconda metà dell’Ottocento e primi decenni del Novecento, anche se la Storia rimane, un po’ sorprendentemente, molto sullo sfondo. Racconta le vicende di alcuni personaggi legati ad Hans, un bambino che mostra grandi qualità precoci e di cui si suggerisce una sorta di predestinazione. C’è il socialista Joseph, che adotta il piccolo Hans; l’ambulante e guaritrice, nonché avida lettrice, Hermine; Gustav, che fa fortuna con modi crudeli e violenti; ad essi e ad alcuni altri sono dedicate via via le ampie sezioni del libro, che veleggia verso le settecento pagine inclusa la postfazione (ma le uscite di questa casa editrice sono in ottimo formato, che scorre bene e ha paginazioni in realtà meno impegnative di quanto suggeriscono i freddi numeri).
Il libro è senz’altro un progetto dalle grandi ambizioni, primo di una serie di diversi volumi a cui l’autore (nato a Roma nel 1973) starebbe lavorando da molti anni. I materiali di presentazione sul sito dell’editore scomodano nomi pesanti: la «tradizione modernista» del Novecento, quella che andò alla ricerca di «un romanzo nuovo, vorace, spirituale, strabordante dalle forme canoniche» e di cui si citano tra gli esponenti «Joyce, Proust, Döblin, Mann, Broch, Musil, Hesse, Canetti e altri».
Chi ha un po’ di dimestichezza con queste uscite saprà che per i grandi classici del Novecento europeo, da queste parti, si ha la massima considerazione, e quanto un sano ritorno ai maestri del passato, per la nostra narrativa, può venire accolto con entusiasmo. La ricerca di percorsi originali – ivi compresa, si intende, la scelta di punti di riferimento anche di un secolo fa e oggi poco frequentati – riceve aperture di credito sulla fiducia.
Bisogna però vedere quali sono i risultati.
E Lo splendore è un libro che delude parecchio le aspettative. Non basta scomodare Thomas Mann, Marcel Proust e James Joyce – di cui sinceramente ho trovato scarsissime tracce – per avere qualcosa a che fare con l’epoca d’oro del romanzo europeo. Di certo Lo spiendore guarda più in quella direzione che verso altri lidi più battuti (come la letteratura americana contemporanea) ma il confronto è impietoso.
Si intuisce quale fosse l’obiettivo: un romanzo epico e profondo, che maneggi il sacro e il mistero, tenuto insieme da reti di rimandi e premonizioni. Ma si vede anche che quasi tutti i bersagli sono mancati. Alcuni personaggi – tra tutti Joseph ed Hermine – sono riusciti e le pagine che ne raccontano la storia sono piacevoli. Man mano che si avanza però i personaggi si abbandonano troppo spesso a elucubrazioni pseudo-sapienziali su che cosa siano la realtà e la vita che sfiancano e annoiano. All’ennesima similitudine sulla vita che è come il vuoto che sta intorno al pieno o viceversa si vorrebbe chiedere una tregua.
Troppe scelte narrative sono poco comprensibili e gratuite. Ad esempio Sara, moglie di Abramo, compare come una sorta di visione ricorrente di Gustav. Per qualche motivo si associa a immagini pornografiche un po’ imbarazzanti. Maneggiare il sacro è ambizioso e fior fiore di autori lo hanno fatto con risultati straordinari (Saramago, Bulgakov), ma il rischio del ridicolo è dietro l’angolo, e qui si cade spesso nel ridicolo.
Sì, ci sarà pure da qualche parte l’ispirazione dei testi cabalistici, un ricco sottotesto di rimandi: ma se il risultato è indigeribile, non è certo la lista delle opere a cui si ammicca a salvarlo. Vengono in mente certe opere di Umberto Eco (quasi tutte, in realtà) in cui la citazione e il rimando erudito provavano a mascherare la povertà di talento narrativo.
Nel romanzo si suggeriscono altre trame che magari verranno sviluppate in futuro, come un misterioso “libro azzurro” e alcune figure enigmatiche che si muovono sullo sfondo. Ma il mistero è un’arma a doppio taglio: se ne deve preparare con attenzione l’aspettativa e si deve rendere necessario saperne di più, mentre anche senza quegli strani personaggi e curiosi ammiccamenti tutto resta in piedi lo stesso.
Il libro sembra una lunga introduzione a qualcosa che non arriva mai: Hans, se è il predestinato, appare poco più di un bambino sveglio come ce ne sono mille. Provare strade nuove è benvenuto, ma Lo splendore purtroppo ne prende una sbagliata.
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Hai ragione.
Questo libro pare un'operazione a tavolino di qualche setta massonica.
Leggere queste righe, in un mondo letterario come quello italiano, in cui ci si spaventa a prendere le distanze dagli editori e dai "potenti" - non si sa mai, si offenda qualcuno! - è corroborante e ammirevole. Grazie