Il mistero degli elenchi di citazioni a fine libro
È davvero “colpa” della legge italiana sul diritto d’autore?
Nella scorsa puntata ho parlato di Intermezzo di Sally Rooney. Se siete nuovi qui, ecco una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che trovi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. E infine, se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere le prossime uscite di questa newsletter nella tua casella di posta cliccando qui.
Poche settimane fa ho pubblicato, insieme all’amico Michel, un saggio che si chiama Storie false. Lo trovate qui sul sito dell’editore o negli altri luoghi dove si vendono libri.
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Al termine della scorsa uscita mi chiedevo perché il romanzo Intermezzo di Sally Rooney, pubblicato lo scorso anno, avesse in appendice qualche pagina in cui si esplicitavano le citazioni letterarie e musicali. Mi sembrava un esercizio superfluo e un po’ ridicolo (a volte si trattava di quattro parole, a volte di testi stranoti). Avanzavo l’ipotesi che si trattasse di un bizzarro sfoggio dell’autrice o dell’imposizione di qualche dirigente della casa editrice, preoccupato per le accuse di violazione di copyright.
Ora l’amico Daniele mi ha segnalato un articolo di Loredana Lipperini uscito qualche mese fa su Giap, il blog culturale e politico del collettivo Wu Ming, che contiene qualche indizio. Indizi inquietanti, a dirla tutta, che sembrano confermare la seconda ipotesi: le citazioni sarebbero elencate per questioni di diritto d’autore. Come vedremo, alcuni aspetti di questa ricostruzione non sono però del tutto convincenti.
Secondo Lipperini, «da un paio di anni a questa parte» gli editori oppongono rifiuti all’inclusione di citazioni musicali (cioè di versi tratti da canzoni) per problemi di diritti. Per questo motivo, alcuni autori si rassegnano a goffe parafrasi. E il problema non sarebbe limitato alla musica: «anche per [le citazioni], brevi, da testi letterari o poetici, le cose si fanno difficili, incluse quelle scelte per un esergo: devi richiedere il permesso per tempo, e pagarlo. Spesso anche molto caro».
Una premessa all’articolo da parte del collettivo Wu Ming, così come lo scrittore Carlo Lucarelli citato da Lipperini e alcuni commenti al pezzo su Giap, confermano il fenomeno con nuovi esempi, chiamando in causa sempre le case editrici. Wu Ming scrive che: «da alcuni anni, in fondo a ogni romanzo pubblicato da case editrici del gruppo Mondadori è obbligatoria una “Nota al testo” in cui vengono esplicitate e attribuite, con tanto di indicazione di copyright, tutte le citazioni». E che questa nota al momento è curata dall’editore.
Quanto al motivo alla base del fenomeno, la spiegazione di Lipperini è che di recente si sarebbe preso ad applicare diversamente una legge italiana del 1941, quella sul diritto d’autore (il testo è qui). All’articolo 70, che riguarda «il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera», si dice che questi sono consentiti solo «per uso di critica o di discussione». Dunque, a seguire la lettera della legge, solo in testi saggistici e non narrativi, visto che gli usi artistici non sono previsti. In base a un’interpretazione restrittiva della legge, allora, non si potrebbero usare testi protetti da diritti. Lipperini conclude che la legge va cambiata.
E come darle torto: se così fosse si tratterebbe di una situazione surreale, perché la letteratura è fatta di citazioni, echi e rimandi ad altri testi. Proibirli per questioni di diritto d’autore, fatto salvo ovviamente il plagio, è una vera assurdità.
Ci sono però alcune cose che non tornano, in questa ricostruzione, e anche se non ho un’ipotesi alternativa le elenco di seguito, chiedendomi se qualche lettrice o lettore di questa newsletter non abbia conoscenze di prima mano della questione e le voglia condividere.
La prima cosa da notare è che non si tratta di un fenomeno solo italiano: io appunto ho visto per la prima volta l’elenco nella versione in lingua inglese di Intermezzo di Sally Rooney e difficilmente la grande casa editrice Faber & Faber è stata mossa dalla preoccupazione per una legge italiana del 1941. È possibile però che si tratti di una tendenza dell’editoria globale, magari in conseguenza di qualche causa legale che ha fatto scuola. Ma a una breve ricerca online non sono stato in grado di trovare nulla.
La seconda è che l’elenco di Rooney non contiene solo opere coperte da diritti ma anche alcune di pubblico dominio, per le quali i diritti sono certamente scaduti. Viene citato Shakespeare, ma anche quattro parole di Wordsworth (“And few could know”) così comuni da poterle senza problemi considerare un’espressione della lingua inglese che, di per sé, non merita neppure di essere rilevata come citazione. Mentre le traduzioni in altre lingue possono essere coperte da diritto d’autore, nei casi di Wordsworth e di Shakespeare si tratta del testo, per così dire, originale, e dunque di pubblico dominio essendo passati diversi secoli dalla morte degli autori. Questo caso potrebbe essere forse spiegato con un eccesso di zelo da parte dell’autrice o della casa editrice, che essendo obbligate a elencare le citazioni protette hanno voluto includere anche quelle certamente escluse.
La questione, insomma, non mi sembra del tutto chiarita.
Mi rivolgo allora alla comunità di lettrici e lettori di Incertezze, tra cui magari ci sono anche persone impegnate nel mondo dell’editoria, perché mi aiutino a scoprire di più su questo mistero. Potete rispondere a questa mail oppure nei commenti qui sotto. Se arriveranno contributi che aiutino a chiarire come stanno le cose, ci tornerò nelle prossime settimane.
Una nota finale. Nella mia carriera professionale mi occupo appunto di giornalismo e in particolare di fact-checking, politico e non. Sono un giornalista da quasi quindici anni, anche se qui, finora, non ho mai dato molto spazio ai temi collegati, perché la mia idea iniziale per questa newsletter era un’altra e perché di opinioni sui mali del giornalismo mi pare ce ne siano fin troppe. Ma magari, nell’ormai numerosa comunità di Incertezze, c’è interesse anche per riflessioni di quel tipo (ad esempio: che cosa succede al giornalismo con tutte queste newsletter?). Per capire meglio che cosa vi interessa, vi propongo allora il sondaggio qui sotto. Grazie e alla prossima uscita.
Molto interessante il tuo articolo! Provo a risponderti: il diritto d'autore è fatto di due componenti, il diritto morale d'autore (chi detiene la paternità dell'opera) e il diritto patrimoniale d'autore (lo sfruttamento economico dell'opera, che in virtù della legge 633/1941 dura 70 anni dalla morte dell'autore). Mentre il diritto patrimoniale appunto scade dopo 70 anni dalla morte dell'autore e dopo l'opera diventa di pubblico dominio e tutti la possono usare come dici giustamente tu, il diritto morale d'autore non scade mai. Shakespeare sarà sempre titolare del diritto morale d'autore, anche se è morto da ben più di 70 anni. Per questo Sally Rooney non può "appropriarsi" delle frasi che fa dire ai suoi personaggi come se fossero sue perché non lo sono, sono di Shakespeare ed è tenuta a dirlo se si tratta di una citazione. Spero di esserti stata utile! :)