La scorsa settimana ho parlato di un’intervista con Werner Herzog. Un benvenuto a nuove iscritte e nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, condividilo a qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Dopo aver scoperto con grande diletto W.G. Sebald qualche settimana fa, uno degli autori migliori che abbia letto negli ultimi anni e il primo da molto tempo che mi abbia spinto, finito il primo libro (Gli anelli di Saturno), a procurarmi subito un secondo titolo (Austerlitz), ho fatto qualche ricerca su di lui e ho trovato che veniva considerato da più parti «il miglior autore in lingua tedesca dopo Thomas Bernhard».
Di quest’ultimo non conoscevo nulla e dunque, nel vagabondare curioso che porta da un titolo all’altro e che ci si può permettere quando si è lettori anzitutto per piacere, ho letto Perturbamento, che a parere dei critici era la sua opera migliore.
Pubblicato per la prima volta nel 1981 (in italiano da Adelphi), il libro ruota intorno al giro di visite di un medico di famiglia per i paesini della Stiria austriaca, accompagnato dal figlio. È un romanzo dalla costruzione particolarissima, sbilenca: dopo una prima parte che descrive le diverse visite – un campionario di umanità variamente dolente e disperata – i protagonisti arrivano al castello di Hochgobernitz: qui il paziente, il principe di Saurau, si abbandona a un lunghissimo monologo di oltre centotrenta pagine. Il nobile e ricchissimo personaggio, non meno dolente e disperato dei più umili malati precedenti, alterna squarci di lucidità a passaggi in cui pare delirare, parlando della sua vita, della sua famiglia e delle sue proprietà, e ancora del rapporto tra uomo e natura, della scienza, di filosofia, in breve della realtà intera.
Perturbamento non è certo di facile lettura. È un libro ambizioso, che invita alla fruizione lenta, meditativa. Ci si deve immergere senza ripensamenti e senza salvagente, accettando l’oscurità di alcuni passaggi e cercando di cogliere una bellezza poetica che sta nella profondità di frasi che magari non si comprendono, ma che restituiscono un senso forte della vita.
La prospettiva di Bernhard è pessimista e antimoderna: il principe, e con lui l’autore sembra concordare, ci dice che il mondo va nella direzione sbagliata, affidandosi alla scienza e al controllo dell’uomo sulla natura, ma perdendo di vista le cose davvero importanti, come il senso del mistero e della terribilità del reale.
Mentirei se dicessi che ho apprezzato Bernhard quanto Sebald: nel secondo il gesto è più elegante, più misurato, anche se l’ho trovato ugualmente profondo – di una profondità più discreta, distaccata. Anche il mondo di Sebald è in decadenza, ma lo si osserva da un punto di vista che sembra l’occhio spassionato dell’entomologo, invece di essere travolti dal pessimismo e dalla cupezza di Bernhard. Mi spingerei fino a dire – riprendendo una delle distinzioni fondamentali della storia della letteratura, tanto cara a Borges – che Bernhard è uno scrittore romantico, mentre Sebald è uno scrittore classico. E con il passare del tempo il lettore accanito seleziona sempre di più in base al suo gusto, diventando meno tollerante verso quanto non vi si adegua: a poco a poco scopro di essere attratto appunto dal classico.
Infine: tra i due autori ci sono diversi punti di contatto. La lettura successiva di entrambi mi ha fatto nascere un pensiero piuttosto eretico nell’era della globalizzazione nella letteratura come nell’economia: esiste una specificità degli autori tedeschi. Entrambi sembrano avere un’anima comune. Quanto hanno scritto – appunto in lingua tedesca – negli anni Ottanta l’uno e nei Duemila l’altro non potrebbe mai essere stato prodotto negli stessi anni da un inglese, da uno statunitense, da un sudamericano.
Se oggi si tende ad appiattire le differenze culturali e a pensare (a illudersi) che anche gli scrittori partecipino a un unico grande discorso globale, restano “voci” che esibiscono tratti distintivi e nazionali, o per lo meno locali. Ma su questo le idee sono ancora un poco confuse e bisognerà fare qualche altra lettura. Ci torneremo in una prossima puntata.
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"Quanto hanno scritto – appunto in lingua tedesca – negli anni Ottanta l’uno e nei Duemila l’altro non potrebbe mai essere stato prodotto negli stessi anni da un inglese, da uno statunitense, da un sudamericano." - molto interessante questo punto, mi piacerebbe saperne di più. Ne parla anche in altri post, o ha articoli da consigliarmi a riguardo? Grazie.
Salve, la leggo da un po' e mi trovo spesso in una strana "sintonia" con lei. Per dire, anche a me è capitato proprio la settimana scorsa di scoprire Sebald, anche nel mio caso con "Gli anelli di Saturno" e di esserne stato conquistato, pur senza riuscire davvero a spiegarmene il motivo con precisione. E anch'io sono ora "diretto" verso l'evocativo titolo di "Austerlitz". Un saluto.