Nella scorsa puntata ho parlato dell’elemento architettonico della lettura. Se quello che leggi qui sotto ti piace, potresti inoltrarla a un paio di amici. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Mi interesso, in modo del tutto amatoriale, alla storia degli Anni di piombo e del terrorismo in Italia. La mole di materiali a disposizione dell’appassionato o del curioso è impressionante: carte processuali, relazioni parlamentari, video su YouTube, film, trasmissioni televisive, fino ai libri dei testimoni e alle ricostruzioni di storici e giornalisti.
A fronte di questa abbondanza, è impressione comune che su quel periodo ci siano ben poche certezze. Che cioè gli aspetti non chiariti, i segreti mai svelati e perfino le responsabilità dei fatti più gravi del terrorismo italiano — la bomba di piazza Fontana, l’omicidio Calabresi, il sequestro Moro, la strage di Bologna, tanto per citare i principali — restino in larga parte fuori dalla conoscenza comune. Non aiuta la storia torturata delle verità processuali, lunghissime, intricate, contraddittorie persino quando esistono; e neppure il fatto che pochi eventi di quegli anni siano stati raccontati con precisione e chiarezza, visto anche il problema italiano con i saggi.
A proposito di saggi. Qualche mese fa è uscito Lo stato della strage di Massimo Pisa (pubblicato da Biblioteca Clueb), un libro mostruoso. Anzitutto per la mole: millecento pagine, un poderoso apparato di note, centinaia e centinaia di nomi. Poi per il progetto: vuole essere il primo di quattro volumi, tutti della stessa stazza immagino, in cui ricostruire la storia degli Anni di piombo a partire dalla strage di Piazza Fontana del 1969, il tema centrale del primo volume.
Ma soprattutto, Lo stato della strage è un libro mostruoso per l’operazione che mette in campo. In sostanza, Pisa ricostruisce giorno per giorno — e quando c’è bisogno ora per ora, minuto per minuto — i fatti prima, durante e dopo la strage, sulla base delle testimonianze e dei materiali d’archivio, delle carte dei processi, dei giornali del tempo.
L’autore dichiara di aver preso visione di un milione 835 mila pagine, e c’è da credergli. Il libro è un enorme puzzle: ogni tesserina, un’informazione presa dai documenti e messa al proprio posto con la pazienza di un entomologo. Lo stile è qualche volta ellittico e alcuni passaggi e riferimenti sono lasciati impliciti. Il lettore deve stare attento, rassegnarsi a perdersi per strada qualcosa e continuare ad assistere a un’opera di ricostruzione, a tutti gli effetti, straordinaria. Ci sarebbe voluto qualche schema, qualche lista dei personaggi ad aiutare la navigazione. Ma a poco a poco, come in un’opera puntillista, emerge un quadro dalla nebbia.
Non è un libro che dà facili soddisfazioni. La lettura è qualcosa di simile all’apprendimento di uno strumento musicale, nel quale si migliora poco per volta e grazie al tempo, più che con salti e rivelazioni folgoranti. Non posso ancora dire se ci sia una risposta alla domanda più ovvia — e quindi, chi è stato? — perché sono all’incirca a metà: ma posso dire per certo che dopo l’uscita di questo libro tutti gli interessati dovranno farci i conti.
Una cosa mi ha colpito, leggendo Lo stato della strage. Pisa riporta parecchie comunicazioni interne a polizia e servizi segreti, tirate fuori dagli archivi. L’impressione è che anche loro, nelle settimane e mesi prima della strage, ne sapessero poco o nulla, non sapessero che pesci pigliare. Si erano fissati su una pista sbagliata (gli anarchici) e andavano avanti a perseguirla con un’ostinazione che da un certo punto in avanti sembra un po’ disperazione, un po’ negazione della realtà.
Non c’è il minimo sentore di grandi vecchi, piani segreti, oscuri burattinai. E d’altra parte la realtà, vista da vicino — e uno dei grandi meriti del libro è far rivivere l’atmosfera di quegli anni con i titoli dei giornali, i servizi televisivi — era così incasinata e complessa che l’esistenza di un piano semplice e lineare per far andare le cose in un certo modo mi è apparsa assai presto puerile. Al contrario, l’approssimazione, la casualità e l’occasionale stupidità guidano gli eventi, a fatica bilanciate da qualche raro sprazzo di lucidità o di intelligenza. Come accade da sempre nelle cose degli uomini, del resto.
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Non vedo in questo scritto, ma nel libro ci sarà, alcun accenno alla morte di Giuseppe Pinelli. Ci si occupa molto del delitto Calabresi, ed è giusto e sacrosanto; spesso interviene il figlio, recentemente è stata intervistata la vedova... ma della vedova del ferroviere Pinelli, e delle sue figlie, si sa poco e si parla nulla.