Nella scorsa puntata ho parlato dei marchi commerciali nei libri. Se quello che leggi qui sotto ti piace e non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Si diceva qualche settimana fa che ogni occasione ha il suo libro, ovvero che nella lettura c’è un aspetto psicologico. Non meno importante è l’aspetto che potremmo chiamare architettonico. Nel Libro bianco sulla lettura del Centro per il Libro insieme all’Associazione Italiana Editori c’è un particolare rivelatore: più di un terzo degli intervistati nell’indagine sulle abitudini di lettura durante la pandemia ha dichiarato che, se non sono riusciti a leggere durante i mesi di marzo e aprile 2020, il motivo è la mancanza di «spazi domestici in cui potersi concentrare».
Per poter leggere ci vuole lo spazio giusto, in effetti. Ho vissuto per un certo periodo in un appartamento con un letto soppalcato, dove la mia pigrizia e l’arredamento mi hanno impedito per parecchio tempo di avere una luce da lettura su un comodino: e dato che ho l’abitudine di leggere prima di andare a dormire, per qualche settimana ho sofferto per la sostanziale impossibilità di farlo.
Ho provato a risolvere con una piccola lampada a pila da attaccare al libro con una clip. L’esperienza si è rivelata però piuttosto faticosa – bisogna trovare il modo di centrare la pagina e illuminarla al meglio, stare attenti a girare la pagina senza colpire la lampadina e così via. Nella mia casa precedente avevo un divano piuttosto scomodo e, di nuovo, l’illuminazione non era ottimale. Anche in questo caso, la mia frequenza di lettura ne ha risentito.
Le mie personali vicissitudini si sarebbero potute risolvere, devo ammetterlo, con un po’ di impegno e una gita all’Ikea. Ma mi hanno fatto pensare, insieme al dato riportato dal Libro bianco, a quanto un’attività in apparenza così semplice e immediata come la lettura richieda in realtà una lunga lista di condizioni. Che a volte dipendono dalla situazione abitativa e familiare; case troppo affollate o rumorose possono rendere di fatto impossibile dedicarsi a un libro.
Persino nella lettura si vedono i riflessi delle differenze sociali ed economiche. Qualche tempo fa un mio conoscente, che sarebbe diventato scrittore, disse che a suo parere il futuro della letteratura italiana era nei libri che avrebbero scritto i nuovi italiani di origini straniere; il che, sosteneva, sarebbe successo di lì a poco.
L’affermazione mi suonò in qualche modo sbagliata, per motivi che non riuscii subito a mettere a fuoco. Credo di aver capito che cosa non mi convinceva: le nuove generazioni di origine straniera sono anche le più povere e, se non abbiamo visto un fiorire di titoli che descrivono l’affascinante e cruciale fenomeno delle famiglie straniere in Italia – ce n’è qualcuno, ma restano comunque pochissimi – è forse perché in quei contesti è più difficile trovare tutte le condizioni necessarie perché i libri si possano leggere, prima ancora di potersi scrivere.
Questo è anche uno dei motivi per cui, nella letteratura di ogni tempo, le voci dei più poveri ed emarginati sono meno rappresentate. Oltre ai generali problemi di accesso alla cultura che si accompagnano alle situazioni di maggior difficoltà, come la qualità della formazione scolastica o la disponibilità economica per comprarsi dei libri, e oltre al fatto che la lettura è spesso un’abitudine familiare – per cui se nessuno dei genitori legge, è parecchio più difficile che i figli comincino a farlo – una stanza silenziosa o perfino una lampada adeguata possono fare la differenza tra entrare nel mondo dei libri o restarne fuori.
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