Nella scorsa puntata ho parlato di letteratura e violenza. Se siete nuovi qui, ecco una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che trovi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. E infine, se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, il sabato, cliccando qui.
Qualche giorno fa, entrando in una libreria, ho visto sul banchetto all’ingresso il libro di Stefano D’Arrigo Il compratore di anime morte (Rizzoli, 2024, 288 pp.). La sua pubblicazione ha fatto notizia, perché D’Arrigo è morto nel 1992 e il manoscritto è spuntato solo molto dopo. L’opera più famosa di D’Arrigo, Horcynus Orca, è un libro smisurato (quasi milletrecento pagine), scritto in una lingua unica e piena di invenzioni. L’autore ci lavorò moltissimo, fino a mettere alla prova la sua salute fisica e mentale. Uno degli episodi più celebri intorno al romanzo riguarda il fatto che, dopo aver consegnato le prime bozze all’editore Mondadori nel 1961, D’Arrigo promise di far avere la versione finale in quindici giorni e invece ci impiegò, di rinvio in rinvio – mentre la curiosità e l’attesa intorno al testo cresceva enormemente – tredici anni. Ne valeva la pena, perché ne uscì uno dei grandi capolavori della nostra letteratura.
Mentre mi rigiravo tra le mani il nuovo libro ritrovato di D’Arrigo mi sono chiesto quanto tempo di lettura o quante pagine sarebbero state necessarie per farmi un’idea del suo valore. Devo aver già ricordato almeno un paio di volte – ritrovo ad esempio questa uscita in cui avevo difeso il diritto ad avere forti opinioni su libri mai letti – il passaggio di Oscar Wilde, da Il critico come artista (1891), che dice:
Per conoscere l’annata e la qualità di un vino non c’è bisogno di bere tutta la botte. Dev’essere perfettamente facile dire in mezz’ora se un libro vale qualcosa o non vale nulla. Dieci minuti sono sufficienti, in realtà, se si ha l’istinto per la forma. Chi vuole andare avanti a stento per un intero libro noioso?
Ci sono casi di incipit che catturano da subito, calando il lettore in medias res, o che si guadagnano con altri pregi il credito per proseguire ancora diverse pagine. L’incipit del Piacere di D’Annunzio, ad esempio, con quel celebre, morbido endecasillabo – L’anno moriva, assai dolcemente. J.D. Salinger che inizia Il giovane Holden rovesciando gli stereotipi: Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato… E a fianco di inizi di gran pregio come questi, molti altri libri invece non partono con i fuochi artificiali. Alcuni si aprono con un passo lento, senza fretta: Per molto tempo, sono andato a letto presto la sera. Altri lavorano sullo spaesamento: le prime pagine dell’Ulisse di Joyce mandano subito il lettore a cercare le note esplicative in fondo al libro e costringono ad almeno tre o quattro riletture.
A quest’ultimo genere, peraltro, è Horcynus Orca, che comincia così:
Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatre, il marinaio, nocchiero semplice delle fu regia Marina 'Ndrja Cambrìa arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill’e cariddi.
Che cosa sarà il paese delle Femmine? E da dove viene quell’ovvio eppure geniale scill’e cariddi? Il romanzo mette in chiaro dall’inizio che non si è davanti a qualcosa di ordinario.
Ecco allora come comincia Il compratore di anime morte:
È l’alba del 24 dicembre 1859. Nell’Ospizio dei trovatelli della Nunziata, che accoglie quelli che le pietose popolane napoletane chiamano “figli della Madonna”, ci si prepara per tempo alla grande vigilia. Su, su, all’ultimo piano del triste e severo edificio, oltre i dormitori dei piccoli trovatelli, lassù, proprio in soffitta, Cirillo Docore apre gli occhi anche lui al nuovo giorno.
Il lettore di Horcynus Orca si accorge subito che siamo di fronte a qualcosa di assai diverso. Niente fuochi d’artificio, ma una lingua piana e senza sbalzi, che semmai ha qualche espressione un po’ trita (triste e severo edificio). L’ambientazione è chiara e al centro della scena c’è quello che sembrerebbe proprio un personaggio importante, forse già il protagonista.
Cirillo Docore in effetti è il protagonista, ci indica il risvolto di copertina. Nello stesso risvolto, come in innumerevoli articoli di questi giorni, si legge che il nuovo libro era «rimasto nascosto finora tra le carte del Gabinetto Viesseux di Firenze». Però poi, nel saggio della curatrice Siriana Sgavicchia pubblicato in fondo all’edizione, si legge una storia un po’ diversa: il celebre critico Walter Pedullà, amico di D’Arrigo, ricordava di aver visto e letto a casa dello scrittore, negli anni Sessanta, «un inedito racconto lungo, forse scritto per il cinema» (p. 238), e aveva insistito con la vedova di D’Arrigo affinché lo cercasse tra le carte del marito. Così sarebbe riemerso Il compratore di anime morte, poi donato al Viesseux nel 2007. Un testo noto da parecchi anni agli studiosi ed editori di D’Arrigo, che infatti avevano in progetto da tempo di inserirlo in un volume di inediti, prima di decidere per la pubblicazione singola.
Non quindi un fortunato ritrovamento casuale, ma una ricerca partita da uno spunto preciso e un’opera nota da tempo. Fa una certa differenza: la versione semplificata che si sente in questi giorni ha il sapore di una piccola bugia per far credere al mito sempiterno del manoscritto ritrovato.
Le sorprese non sono finite. Continuando la lettura ci si addentra in un testo parecchio visivo. Si segue il protagonista in un succedersi di scene ben delimitate, in cui gli altri personaggi e gli ambienti sono descritti in modo asciutto ed essenziale. Si presentano persino alcune trovate che con ogni evidenza hanno un senso soprattutto in una messa in scena. Non ci si sofferma sull’interiorità dei personaggi né si indugia in descrizioni troppo dettagliate. Persino dell’emotività dei personaggi si parla in termini di smorfie, grida e gesti. Insomma, sembra proprio un testo pensato per il cinema.
Il lettore un po’ spaesato, arrivato verso pagina quindici, corre allora a scoprire qualcos’altro nel saggio finale di Sgavicchia, per capire se gli sta sfuggendo qualcosa, se è solo una sua impressione o si sta davvero ritrovando per le mani un testo assai particolare. E scopre allora che non siamo di fronte a un romanzo vero e proprio, ma a lungo trattamento cinematografico, cioè quello stadio intermedio tra il soggetto – la breve descrizione dell’idea per un film – e la sceneggiatura vera e propria. Scopre anche che lo scrittore, intorno al 1947, voleva proporre il trattamento con ogni probabilità a Luchino Visconti.
Nel trattamento, il potenziale film viene sviluppato in forma narrativa: si abbozza qualche dialogo, si descrivono i luoghi e i personaggi, si fa un racconto lineare della trama. Leggo che oggi un trattamento è piuttosto breve, tra una decina e una quarantina di pagine, ma non so dire quale fosse l’usanza nel cinema italiano di qualche decennio fa. Il compratore di anime morte è poi un adattamento de Le anime morte di Gogol’, come dichiara il sottotitolo, ambientato nella Napoli del 1859, e in quegli anni Visconti aveva girato diverse opere ispirate ai grandi romanzi russi. Forse – il saggio non ha una risposta definitiva – D’Arrigo ha ampliato in più fasi un trattamento fino a dargli le dimensioni attuali, di certo stiamo parlando di «una riduzione, un adattamento per il teatro, o più probabilmente per il cinema» (p. 241).
Di sicuro non è stato pensato come un romanzo vero, ma come qualcosa da proporre a sceneggiatori e produttori, come peraltro (si scopre sempre dal saggio finale) alcune lettere di D’Arrigo dicono chiaro e tondo. In una fase della sua vita in cui era a corto di soldi e cercava di guadagnare qualcosa con il giornalismo e con il cinema. Commentando anche a più riprese che quel tipo di lavori non gli davano grande soddisfazione.
In tutto questo, la storia scorre bene, con una piacevole ironia, e ci sono diverse trovate che in un film avrebbero fatto una bella figura. Però chi si aspetta «uno straordinario romanzo inedito», come promette la sovraccoperta, resterà deluso. Il compratore di anime morte è un piacevole trattamento cinematografico, magari un po’ rimaneggiato e ampliato, ma che resta in sostanza una curiosità da appassionati o da studiosi. Il lettore, dopo quindici pagine, scopre la scorrevole mezza truffa.
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So che non è il punto della riflessione odierna, ma così, giusto per divertirsi un momento a proposito di inizi folgoranti, per imperscrutabili motivi a me si è eternamente fissato in testa l'attacco di Hunter S. Thompson in "Paura e delirio a Las Vegas": “We were somewhere around Barstow on the edge of the desert when the drugs began to take hold.".
In fondo, tutto il libro è già lì...