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Le leggi fondamentali della stupidità umana è un brillante saggetto del grande storico dell’economia italiano Carlo M. Cipolla, pubblicato in italiano per la prima volta nel 1988 (di solito in un libretto intitolato Allegro ma non troppo, ma ho visto che di recente è stato ripubblicato anche da solo). Cipolla immagina alcune “leggi” che regolano la presenza e l’operato degli stupidi nella nostra società. La mia preferita è la seconda – per coincidenza citata qualche giorno fa anche nella newsletter del mio amico Alberto – che dice così:
La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona.
Ne consegue quindi che, qualunque sia il gruppo considerato, la percentuale di stupidi rimanga sempre la stessa. Che si parli di professori universitari o di premi Nobel, di famiglie reali o di squadre di calcio, di operai metalmeccanici o di florovivaisti.
Un interessante corollario è che la percentuale di persone non stupide rimane ugualmente costante, il che porta a evoluzioni piuttosto rischiose. Se prendiamo diversi gruppi di persone definite dal loro grado di cultura, come i premi Nobel o i laureati, secondo la legge di Cipolla troveremo sempre la stessa percentuale di stupidi in ciascuno. E allora anche tutte quelle idee sulla cultura che “apre la mente” e questa o quella materia che “insegnano a ragionare”? Non possiamo che concludere, in base alla seconda legge della stupidità umana, che siano idee sbagliate.
Ma non proseguiamo per questa strada che rischia di scuotere troppe nostre certezze. Concentriamoci invece sulla definizione che Cipolla dà degli stupidi nella sua terza legge:
Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita.
Questa è la parte del saggio che mi ha sempre convinto meno. Infatti, lunghi anni di osservazione sul campo mi hanno portato a rilevare persone stupide come pietre ai massimi livelli di responsabilità politiche, sociali e professionali, peraltro in ambiti che rientrano fermamente nei cosiddetti mestieri di concetto. Se lo stupido fosse solo un autolesionista più o meno inconsapevole, difficilmente otterrebbe riconoscimenti e promozioni, come invece ahimè anche un’occhiata rapida ai fatti del mondo ci dimostra ogni giorno con implacabile regolarità (e non vale l’obiezione «perché è stato scelto da altri stupidi»: come sono arrivati i primi stupidi là in cima?).
Il problema, infatti, è che dal punto di vista teorico la definizione di Cipolla parte dal presupposto che le azioni umane siano sempre valutabili in termini di costi e benefici – un approccio naturalmente da economista – ma nella realtà di tutti i giorni sappiamo che non è dal danno o meno che causano le sue azioni che giudichiamo stupida una persona o un comportamento.
Prendiamo un esempio concreto, quello peraltro che mi ha spinto con urgenza a rileggere Cipolla l’altro ieri.
Il post qui sopra, firmato da un noto giornalista e conduttore televisivo, mi ha colpito subito come particolarmente stupido (questo non vuol certo dire che il suo autore lo sia: tutti noi, ogni giorno, facciamo o diciamo cose stupide. Qualcuno al massimo lo fa un po’ più spesso di altri).
Non tanto per la domanda in sé, che è tutt’altro che banale e richiede una risposta complessa. Ma perché insinua che ci sia «qualcosa che non va» o qualcosa di «strano», misterioso, inspiegabile, in una materia di cui evidentemente l’autore del post non sa niente, cioè la storia della ricerca sull’Hiv e le difficoltà collegate alla creazione di un vaccino.
In altre parole, il post trova una connessione superficiale tra due fatti sicuramente veri – abbiamo un vaccino per un virus che è qui da un anno, non ne abbiamo per uno che c’è da trenta – e ritiene che sia rilevante e intelligente scrivere la prima conclusione che può venire in mente («c’è qualcosa che non va»). In realtà, se si va ad approfondire il tema, come un bravo giornalista scientifico può fare in una giornata, si scoprono un sacco di altre risposte molto più pertinenti (trovate ad esempio un’ottima spiegazione qui).
Insomma: la domanda non era stupida. Lo è piuttosto l’idea di dichiarare in pubblico, con tanto di grafica fatta apposta per diventare un meme, la prima risposta che viene in mente.
Il caso illustrato poc’anzi ci serve per dire che la stupidità non è necessariamente un’azione dannosa per qualcuno. Certo, un post poco ragionato sul tema dei vaccini può contribuire a diffondere la sfiducia nelle autorità sanitarie, ma senza dubbio si può risultare stupidi anche parlando di calcio o di giardinaggio, due ambiti in cui la stupidità non potrà fare troppi danni (se non magari a qualche povera pianta).
E allora come definire la stupidità? Piuttosto di una definizione basata su criteri economici, esplorerei la strada della psicologia. Dopo attenta riflessione a partire dalla grande copia di materiali di studio fornitaci dall’attualità, sono arrivato alla conclusione che la stupidità sia il prodotto di una duplice mancanza: di consapevolezza dei propri limiti e, al tempo stesso, di moderazione nel manifestare le proprie opinioni.
Se potessi emendare il bellissimo saggetto di Cipolla, sostituirei allora la terza legge con questa:
Lo stupido è quello che si crede più furbo degli altri e non si preoccupa di dirlo.
Più ci penso e più mi convince. La mancanza di consapevolezza è infatti una caratteristica fondamentale negli stupidi: si può essere ignoranti o analfabeti, ma se ci si dimostra coscienti dei propri limiti si può comunque condursi nel consesso umano senza che chi ci incontri ci etichetti subito come un povero fesso. Viceversa, una persona piena di sé, che dimostri un alto grado di inconsapevolezza, è esposta a un rischio altissimo di fare o dire cose stupide con inquietante frequenza.
C’è però un problema fondamentale: la mancanza di consapevolezza implica che uno stupido non sappia di esserlo. Può essere – è caso raro – che riconosca più tardi di essersi comportato da stupido, guardando i propri comportamenti da un’altra prospettiva. Ma assai più comune invece è che i tentativi di far ragionare lo stupido si scontrino contro il muro invalicabile di chi si crede più sveglio di quanto non sia e, soprattutto, non tema di dichiararlo al mondo intero.
La mia è una ricerca in corso e spero che si possa arrivare presto a una Teoria generale della stupidità umana, partendo dalle circa venti pagine di Cipolla. Che cominciano con uno degli incipit più belli e più veri che ricordi: «Le faccende umane si trovano, per unanime consenso, in uno stato deplorevole». Alla prossima settimana.
Giovanni
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Provo ad azzardare un'ipotesi (probabilmente perchè C.M.Cipolla mi è sempre stato simpatico, forse per il cognome legato alla gag con Amadeus, e terribilmente legata al tema di questo articolo).
E se si potesse comunque tenere la terza legge, applicandola all'ambito psicologico? Intendendo in questo modo il vantaggio personale come una strategia inconsapevole di autotutela. Se mi sento stupido e ne sono consapevole, difficilmente sarà una considerazione neutra a livello emotivo, anzi rischia di rendermi di umore un po' meno allegro. Cornuto e mazziato, in altri contesti.
Magari è più salutare rimuovere questo pensiero (la rimozione, devo averlo letto da qualche parte, è un meccanismo di difesa arcaico, di quelli insomma che funzionano, ma insieme all'acqua sporca buttano via anche il bimbo) e andare dritti per dritti, sicuri delle proprie idee, anzi ostentandole. Non si rischiano insicurezze, dubbi, problemi di sorta.
I meccanismi di difesa arcaici mi pare intervengano quando c'è bisogno di molta "energia", cioè quando è veramente fondamentale che la persona non abbia consapevolezza di alcune sue parti:
e se quindi legato al concetto di stupidità vi fosse quello di fragilità emotiva?
Comunque essere stupido non mi pare così malvagio.
Si diviene portatori della verità, e fieri della propria intelligenza. Chi potrebbe mai rifiutare tutto ciò?
Solo uno stupido.