La scorsa settimana ho parlato di lettori che non si stupiscono più di nulla. Un benvenuto a nuove iscritte e nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo e qui un bilancio del primo anno di questa newsletter. Se quello che leggi qui sotto ti piace, inoltralo a qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Difficile, difficilissimo parlare delle cose di cui parlano tutti. Davanti al tema del momento, oppure al libro che scala le classifiche, l’istinto è quello di arretrare dubbiosi, aspettare che passi la tempesta. Il tempo dirà se quella davanti a noi è una polemica effimera, un libro solo di moda – giacché, come insegna il mio amico Dario che conosce l’eleganza, la moda è una stortura del presente, mentre lo stile rimane – oppure la traccia lasciata è davvero più profonda. Se dopo qualche mese sarà rimasta ancora la voglia di tornare su quel tema o di leggere quel titolo, allora varrà la pena di approfondire.
La disinformazione è il tema più discusso degli ultimi anni. Fatto già di per sé piuttosto straordinario, se si pensa che fino alla fine del 2016 l’espressione fake news in italiano, in pratica, non esisteva (o meglio, non era ancora stata importata).
I libri sulla disinformazione sono ormai infiniti e di qualità assai disuguale. Il tema invita a spaziare: se ne può parlare infatti da punti di vista assai distanti, da quello psicologico (che cosa ci fa credere alle notizie false), storico (casi passati di disinformazione), economico (chi ci guadagna), geopolitico (il ruolo degli Stati), tecnologico (cosa c’entrano le nuove tecnologie)… A riprova di questa ricchezza, esiste perfino un libro dal curioso e anacronistico titolo Fake news e storia romana (Mondadori Education, 2020).
Mi sono accostato con cautela al libro della filosofa Donatella Di Cesare Il complotto al potere (Einaudi, 2021), che prometteva una riflessione originale su una materia così abusata. È un testo breve, poco più di cento pagine, ma denso e tutto sommato accessibile, senza barocchismi del pensiero. La tesi di fondo è che il complotto e più ancora l’immaginazione del complotto – fenomeno che di recente ha riacquistato nuova rilevanza – siano figli della fase di crisi che attraversa la nostra società e le nostre democrazie. Come scrive l’autrice (p. 6):
Il complottismo non è un crampo mentale né un argomento fallace, bensí un problema politico.
Secondo Di Cesare, siccome il potere oggi si è fatto sempre più complesso e inaccessibile – lo Stato moderno con i suoi meccanismi imperscrutabili, legali, burocratici, tecnologici – e allo stesso tempo la politica, che dovrebbe governarlo, è ugualmente percepita dai cittadini come un corpo estraneo e distante – con la sensazione, più o meno giustificata, che sia tutto in mano a gruppi di potere nascosti, a manovratori occulti, a cinici burattinai – il complotto è la forma mentis conseguente al disorientamento generale: «la forma politica che resta nel tempo dell’eclissi della politica» (p. 23); «il complotto è la forma in cui oggi intendiamo il mondo e lo abitiamo» (p. 24).
Prospettiva assai interessante, e per più pagine ottimamente argomentata. Ma mi pare che poi la filosofa non sia in grado di andare fino in fondo e che si perda in alcune considerazioni meno convincenti.
Per prima cosa, la ricostruzione storica è problematica: l’origine del complottismo moderno si fa risalire alla Rivoluzione francese, in quanto evento fondante della democrazia in senso moderno (e dunque anche delle sue distorsioni, come il complottismo). Se sull’origine della democrazia non sono competente ad esprimermi; mi pare però che, di complotti, la storia ne abbia conosciuti numerosi altri anche in precedenza.
Basti pensare alle accuse medievali verso gli ebrei: di avvelenare i pozzi, spargere le malattie, dedicarsi a profanazioni e sacrifici rituali e così via. Oppure agli untori del Cinque e Seicento, che tutti ricorderanno dal Manzoni scolastico. Si trattava senza dubbio di complotti: forse non di complotti politici, cioè portati avanti da poteri segreti all’interno di un piano per dominare il mondo (questo aspetto dell’antisemitismo, ad esempio, sarebbe diventato rilevante solo in tempi più recenti), ma pur sempre complotti.
In questo caso però siamo davanti a una petizione di principio, visto che se Di Cesare vuole dimostrare che il complotto è per sua natura una questione politica, bisognerebbe spiegare perché quelli precedenti all’inizio della sua argomentazione non erano complotti. Altrimenti siamo di fronte alla scelta degli esempi che più fanno comodo, giacché è tutto da dimostrare che «nel nuovo paesaggio politico dischiuso dalla Rivoluzione francese […] il complotto si insedia e si rafforza» (p. 27). Quelli precedenti erano dunque meno rilevanti, meno importanti? Ciò, appunto, andrebbe dimostrato (e sospetto che Di Cesare, nella scelta del suo punto d’inizio, sia molto debitrice del libro di Raoul Girardet Mythes et mythologies politiques, che parte più o meno dallo stesso periodo e cita parecchi degli stessi autori).
C’è dell’altro. Se il complotto è davvero «la forma in cui oggi intendiamo il mondo», come scrive Di Cesare, si tratterebbe allora di un approccio giustificabile, necessario, in qualche misura dovuto. Non si potrebbe non essere complottisti, in un certo senso. Ma in tutta la seconda parte del saggio si descrive invece il complottismo, in sostanza, come una stortura del pensiero: esso è infatti la bandiera del «risentito», di chi è dominato dal «rancore» che lo porta «alla passione identitaria, alla fobia dell’altro e al rifiuto del divenire, di cambiare» (p. 55).
Il risentito è il protagonista implicito di tutto quanto segue: e allora via con l’elenco, oggi un po’ trito, ma sempre elegantemente snocciolato dall’autrice, delle teorie sul Nuovo Ordine Mondiale, della Grande sostituzione, di QAnon, delle visioni apocalittiche ed estremiste. A cui si accostano poi i leader populisti e della nuova destra globale, da Trump a Bolsonaro (i soliti noti, verrebbe da dire).
Forse mi è sfuggito qualcosa: ma mi pare che Di Cesare abbia voluto, ad un certo punto, mettere il pilota automatico e seguire la strada più banale. Se il concetto iniziale del complottismo come problema politico e in un certo senso inevitabile del nostro mondo aveva un bel potenziale in termini di pensiero controcorrente e alternativo, infilarci i neonazisti che credono al complotto giudaico e diversi altri deliri contemporanei va in direzione contraria rispetto a quella tesi: siamo infatti di fronte, in diversi casi, a evidenti «crampi mentali» – proprio quelli che l’autrice aveva detto di non voler considerare come spiegazioni del complotto.
Aggiungiamoci il collegamento tra risentimento, populismo e complottismo: ne emerge che chi “pensa male” e “vota male” è la prima vittima e il primo protagonista dell’ondata complottista di oggi. Visione consolatoria, ma che finisce per smentire le stesse premesse del saggio. Posso sbagliare, ma mi pare che tutte le ottime letture elencate da Di Cesare e le argomentazioni sottili abbiano finito per dirci un po’ quello che già sapevamo. O, per lo meno, quello che è più facile pensare.
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