La scorsa settimana ho parlato dei libri che non ho letto. Un benvenuto a nuove iscritte e nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo e qui un bilancio del primo anno di questa newsletter. Se quello che leggi qui sotto ti piace, inoltralo a qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Un maestro del conservatorio in cui ebbi una breve e ingloriosa carriera studentesca usava dire, con una punta di amarezza, che i molti anni passati a studiare la musica gli avevano guastato, o per lo meno assai modificato, l’esperienza di ascoltarla: siccome ne capiva alla perfezione i meccanismi di funzionamento – insegnava composizione, ovvero quel corso dei conservatori in cui la musica si fa, ma soprattutto si analizza – era ormai diventato impossibile godersi un’opera senza pretese e sovrastrutture, perché ad ogni passaggio entrava in gioco la comprensione razionale, per dir così, dei suoni e della successione degli accordi.
Come un illusionista che conosce tutti i trucchi del mestiere non può provare meraviglia assistendo a spettacoli altrui, così il maestro si trovava di fronte meccanismi già svelati, strumenti conosciuti, trucchi ad effetto ben noti. La sua padronanza della musica era senza dubbio assai profonda, ma il prezzo da pagare era la perdita dell’inesperienza necessaria per un ascolto puramente spontaneo, istintivo, non mediato. Perdita d’altra parte irreparabile: una volta compreso come funziona un brano musicale, è impossibile far finta di non saperlo.
Il lettore accanito si trova davanti a un simile problema. L’idea mi è venuta in mente leggendo il romanzo di Fabio Bacà, Benevolenza cosmica (Adelphi, 2019). Lo spunto alla base è interessante – un uomo di mezza età attraversa un periodo davvero fortunato, tanto da chiedersi se non sia troppo fortunato – ma la realizzazione lascia abbastanza a desiderare. Qua e là si ritrovano errori da matita blu. Faccio un esempio. Il romanzo è ambientato nella Londra contemporanea e i personaggi, non stupirà, sono inglesi.
Scelta coraggiosa: se è comprensibile che, in un mondo meno globalizzato, gli scrittori potessero ambientare le loro vicende in posti esotici o soltanto lontani senza farsi troppi problemi di verosimiglianza – Shakespeare probabilmente non visitò mai Venezia, ma ci ambientò la storia di Shylock – per noi oggi Londra è dietro l’angolo e dunque il livello di verosimiglianza richiesto è alto (a meno di non costruire una realtà del tutto alternativa, come in 1984). Il lettore contemporaneo avrà senz’altro un’idea di cos’è Londra oggi e magari anche un poco dello spirito del luogo, per cui in un romanzo sostanzialmente realistico come quello di Bacà bisognerà far attenzione a costruire un universo narrativo coerente.
Ecco dove nasce il problema: possiamo presumere i personaggi di Benevolenza cosmica parlino e pensino in inglese (a dirla tutta, il protagonista ha origini italiane per parte di madre, ma si chiama Kurt O’Reilly e la sua italianità non è comunque troppo rilevante). Perché allora due personaggi parlano di “darsi del tu” come segno di confidenza (p. 25)? Come tutti sanno, la lingua inglese non distingue, nell’uso dei pronomi, tra forma colloquiale e forma di rispetto. Quello scambio, in quel dialogo, è privo di senso.
Questo e altri dettagli portano insomma i personaggi “inglesi” a non essere siano troppo convincenti nella loro inglesità, fatto che costituisce una nota stonata piuttosto fastidiosa. Ma al netto delle questioni di ambientazione, e di qualche altro problema che non stiamo a discutere a lungo qui, si tratta alla fine di una lettura scorrevole e rapidamente dimenticabile. Il punto, piuttosto, è che il lettore accorto si renderà presto conto dell’idea dietro il romanzo, delle forze e delle debolezze della scrittura, e insomma avrà presto l’impressione di aver colto tutto l’essenziale, anche senza arrivare fino in fondo. Come il musicista esperto, gli ingranaggi appariranno in bella vista.
L’esperienza fa riconoscere alla svelta il buono e il meno buono, ma priva anche di un certo piacere della scoperta e, soprattutto, di una certa disarmata meraviglia nella lettura. È possibile che la risoluzione finale di Bacà, qualche tempo fa, mi sarebbe sembrata profonda o interessante (non la svelo, per chi volesse dedicarvisi: si tratta pur sempre di un romanzo arrivato a cinque ristampe); oggi mi è sembrata piccola cosa e insufficiente a giustificare le duecento pagine precedenti. Vien da dire che il lettore accanito potrebbe spesso leggere assai poco di quello che gli passa sottomano e mettere da parte il libro, senza troppi rimpianti, perché ha già capito che cosa si potrà aspettare. Gli è diventato difficile, purtroppo, prendere le cose troppo alla leggera.
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