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Mar 11, 2023Liked by Giovanni Zagni

E poi, giusto per aggiungere carne al fuoco, a complicare ulteriormente i giudizi ci sarebbe anche il problema della traduzione. Uno legge, per fare un esempio, un libro di Elmore Leonard in originale e, beh, è "quasi la stessa cosa", ma decisamente non è la stessa cosa. E non è che il traduttore abbia chissà quali colpe, anzi. È semplicemente che certe parole, certi suoni, certe costruzioni (es. i fantastici dialoghi zeppi di parolacce dello scrittore americano) nella lingua italiana, come dire, perdono forza. E nonostante il mio inglese non sia eccelso, alla fine il libro è più godibile in originale. Quindi, ancor più difficile giudicare il valore di un testo.

Eppure, qualcosa c'è. La scorsa estate, per esempio, complice un viaggio nei Balcani, mi sono cimentato con Ivo Andrić, che non conoscevo. Sono bastate poche pagine (naturalmente tradotte...) per dire: "ci siamo". Insomma: aliquid est, non credo ci siano dubbi. Ma come definirla? Forse, anche per lo stile, potremmo citare il celeberrimo "Io sono colui che sono" (scherzo eh...): magari non sai dare una definizione, ma quando c'è, in qualche modo te ne accorgi.

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Mi verrebbe da dire che la critica letteraria rimane racchiusa, perlopiù, in ambito accademico. E mi verrebbe da dire che è difficile determinare il perché della "sparizione" dei critici. Forse perché è cambiata la società e con il lei il modo di comunicare; si predilige la velocità e fare critica letteraria significa analizzare una complessità di segni, serve rallentare e serve saper ascoltare. Inoltre, la tecnologia ha portato alla diffusione massiva di tecnologie multimediali: stare al passo con tutto risulta difficile. E non tutti i mezzi sono "adatti" allo scopo.

Forse si potrebbe richiamare Walter Benjamin nel saggio “L’origine dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” e la perdita dell’unicità dell’opera d’arte e del suo concetto di “aura”.

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