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Mi piace questa potenziale discussione e spero di non abusare di uno spazio che non è mio scrivendo ancora. Anch’io spesso mi sono chiesto: perché mi è piaciuto, per dire, “Madame Bovary”, tanto da essere uno dei pochi libri che ho riletto? Eppure è la storia di una donna di provincia che viene sintetizzata nella fantastica scena di lei davanti allo specchio che sussurra: “Ho un’amante!”. Non molto originale, in effetti. E perché invece, quando ho provato a cimentarmi con John Grisham (pensando: l’hanno letto milioni di persone, qualcosa di buono dovrà pur esserci) ho gettato la spugna dopo pochi capitoli? Eppure nel primo caso si racconta una storia banalissima, simile a quella di milioni di persone, mentre nel secondo ci sono intrighi sofisticati, colpi di scena, ambienti esotici, ecc. La prima provvisoria risposta che mi sono dato è che i personaggi di Flaubert, per imperscrutabili motivi, mi sembravano vivi, reali, più veri del vero. Seguirli nelle loro vicissitudini era un po’ soddisfare una specie di voyerismo, vedere come se la cavavano, come “vivevano” insomma. Invece con Grisham mi sembrava di seguire dei cartonati in movimento, di percepire i meccanismi utilizzati dallo scrittore: ecco, ora metto una battuta di alleggerimento, ora un personaggio secondario che poi si rivelerà decisivo, adesso un inseguimento, una sparatoria, la scena di sesso, l’agente segreto, il doppio gioco. Impossibile provare interesse. Dire questo, tuttavia, significa in fondo non fare alcun passo avanti. Come mai uno riusciva dove l’altro falliva? Qual era il discrimine? Lo stile? Rieccoci daccapo. E ancora: ma non c’entreranno anche i gusti personali? Magari qualcun altro si annoia a morte con Flaubert e si esalta con Grisham. Esistono criteri obiettivi per giudicare? Secondo me in qualche modo sì. Ma quali sono? Di nuovo al punto di partenza… insomma, domande su domande e nessuno straccio di risposta. Forse perché una spiegazione non c’è. Ma come esserne sicuri? Se fosse un problema matematico, esisterebbe astrattamente la possibilità di dimostrare che la soluzione “esiste” o “non esiste”, anche senza indicare quale essa sia. Ma in questo caso? Chissà.

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Grande Zagno. La mia opinione: l’arte di scrivere non dipende dalla fantasia per raccontare grandi storie, né dall’abilità stilistica in senso stretto. Ma dalla capacità in generale di (ri)creare e trasmettere atmosfere, emozioni, mondi in maniera nitida e viva. In tal senso, penso che il “come” sia molto più importante del “cosa” venga scritto. A tale scopo, un bello stile di solito aiuta, ma è più la capacità di mettere a fuoco il dettaglio o l’aspetto giusto che conta. Senza stile, si può sempre descrivere e creare in maniera semplice un mondo o una trama avvincente; o addirittura ci sono bei libri scritti con stile semplice e piatto, che parlano di vicende ordinarie senza che accada molto, ma che sono bei libri perché comunque riescono a dipingere un quadro che vive. È saper cogliere i tratti che rendono un quadro vivo, e scriverne, che rende uno scrittore un artista.

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