La scrittura è una forma di comunicazione, e la comunicazione passa attraverso la pubblicazione e la vendita nelle librerie. La vendita, purtroppo, richiede compromessi come presentazioni del romanzo, pubbliche letture, firme di copie e, nei casi più fortunati, passaggi in televisione. Sono le regole del gioco, e valgono per tutti, salvo pochi fortunati che sono già famosi. Altrimenti, si rimane senza lettori. Però si può cercare di farlo con modestia e noncuranza, e parlando il meno possibile di se stessi.
Ciao! Intanto, ci tengo a dirti che apprezzo sempre molto quello che scrivi qui e leggo sempre con molto piacere.
La questione sull'impossibilità del dirsi scrittori la trovo molto interessante e condivido anche in parte quello che sostieni. Sono cose su cui mi interrogo molto perché io ad esempio scrivo e non riesco mai, almeno per ora, a definirmi scrittore (me lo dicono più spesso gli altri ma io provo imbarazzo).
Ultimamente rispondo alla questione così: si chiarisce tutto se assimiliamo la professione dello scrittore a quella di altre forme artistiche (pittore, scultore, musicista, ecc.). Lo scrittore è tale non per hobby, ma se è riuscito a creare un proprio percorso coerente guidato dai propri risultati (cosa scrive, cosa pubblica e come). La questione del riconoscimento economico certamente conta - motivo del mio attuale imbarazzo - ma non ne farei una prerogativa necessaria (se guardassimo a chi vive o ha vissuto di libri Fabio Volo sarebbe uno scrittore, Kafka no). Se quel percorso artistico procede con onestà e risultato, gli altri ti riconosceranno come tale. E quindi, potrai dirti scrittore in modo possibile. Spero di essermi spiegato, se ci sarà mai modo sarebbe bello parlarne.
grazie Luca delle parole di apprezzamento. credo che tu abbia ragione. ma il riconoscimento altrui è per definizione esterno e può dunque anche essere ritirato. è un’etichetta precaria e condizionata... ma forse la mia visione è troppo intransigente.
Ciao! Sono nuova, ma andrò a recuperare i numeri precedenti perché mi è piaciuto molto quello che ho letto. Le questioni che sollevi mi interessano da due punti di vista. In prima battuta, quello di lettrice, perché fin da quando, a 16 anni, conobbi per la prima volta uno scrittore dal vivo a una presentazione (si trattava di David Leavitt, di cui avevo amato moltissimo i racconti fulminanti della raccolta "Ballo di famiglia", vado a memoria), mi sono pentita di esserci andata, perché da allora non sono più riuscita a leggere niente di suo, come se il fatto di aver associato le parole scritte a un essere umano avesse spezzato un incantesimo. In seconda battuta, quello di autrice di saggi: scrivere testi non di narrativa, almeno nel mondo culturale italiano (in quello anglosassone le cose vanno un po' diversamente), è un'attività, se non di serie B, sicuramente non paragonabile alla scrittura di romanzi (o poesie, o forse persino opere teatrali). Almeno nella mia esperienza, non si usa proprio definire scrittore o scrittrice qualcuno che, in gergo tecnico, si occupa soltanto di non fiction, il che mi impedisce a priori di essere scrittrice, e persino di poter aspirare a diventarlo, qualunque sia la barriera da infrangere - sia essa relativa alle copie vendute, ai premi ricevuti, alle acclamazioni pubbliche o anche semplicemente, come scriveva Luca in un commento precedente, al proprio pudore personale.
ciao Eva, grazie dei complimenti. ho avuto la stessa delusione le poche volte che sono andato a sentire qualche autore che conoscevo. gli scrittori, quando va male, sono degli insopportabili vanesi, e quando va bene sono persone piacevoli o interessanti di per sé. grandi libri sono stati scritti da persone mediocri o spiacevoli e viceversa. dunque meglio non fare mai la conoscenza con i propri eroi letterari...
La scrittura è una forma di comunicazione, e la comunicazione passa attraverso la pubblicazione e la vendita nelle librerie. La vendita, purtroppo, richiede compromessi come presentazioni del romanzo, pubbliche letture, firme di copie e, nei casi più fortunati, passaggi in televisione. Sono le regole del gioco, e valgono per tutti, salvo pochi fortunati che sono già famosi. Altrimenti, si rimane senza lettori. Però si può cercare di farlo con modestia e noncuranza, e parlando il meno possibile di se stessi.
Ciao! Intanto, ci tengo a dirti che apprezzo sempre molto quello che scrivi qui e leggo sempre con molto piacere.
La questione sull'impossibilità del dirsi scrittori la trovo molto interessante e condivido anche in parte quello che sostieni. Sono cose su cui mi interrogo molto perché io ad esempio scrivo e non riesco mai, almeno per ora, a definirmi scrittore (me lo dicono più spesso gli altri ma io provo imbarazzo).
Ultimamente rispondo alla questione così: si chiarisce tutto se assimiliamo la professione dello scrittore a quella di altre forme artistiche (pittore, scultore, musicista, ecc.). Lo scrittore è tale non per hobby, ma se è riuscito a creare un proprio percorso coerente guidato dai propri risultati (cosa scrive, cosa pubblica e come). La questione del riconoscimento economico certamente conta - motivo del mio attuale imbarazzo - ma non ne farei una prerogativa necessaria (se guardassimo a chi vive o ha vissuto di libri Fabio Volo sarebbe uno scrittore, Kafka no). Se quel percorso artistico procede con onestà e risultato, gli altri ti riconosceranno come tale. E quindi, potrai dirti scrittore in modo possibile. Spero di essermi spiegato, se ci sarà mai modo sarebbe bello parlarne.
Luca
grazie Luca delle parole di apprezzamento. credo che tu abbia ragione. ma il riconoscimento altrui è per definizione esterno e può dunque anche essere ritirato. è un’etichetta precaria e condizionata... ma forse la mia visione è troppo intransigente.
Grazie a te, concordo certamente sul fatto che il riconoscimento possa anche essere ritirato e che sia condizionato.
Ciao! Sono nuova, ma andrò a recuperare i numeri precedenti perché mi è piaciuto molto quello che ho letto. Le questioni che sollevi mi interessano da due punti di vista. In prima battuta, quello di lettrice, perché fin da quando, a 16 anni, conobbi per la prima volta uno scrittore dal vivo a una presentazione (si trattava di David Leavitt, di cui avevo amato moltissimo i racconti fulminanti della raccolta "Ballo di famiglia", vado a memoria), mi sono pentita di esserci andata, perché da allora non sono più riuscita a leggere niente di suo, come se il fatto di aver associato le parole scritte a un essere umano avesse spezzato un incantesimo. In seconda battuta, quello di autrice di saggi: scrivere testi non di narrativa, almeno nel mondo culturale italiano (in quello anglosassone le cose vanno un po' diversamente), è un'attività, se non di serie B, sicuramente non paragonabile alla scrittura di romanzi (o poesie, o forse persino opere teatrali). Almeno nella mia esperienza, non si usa proprio definire scrittore o scrittrice qualcuno che, in gergo tecnico, si occupa soltanto di non fiction, il che mi impedisce a priori di essere scrittrice, e persino di poter aspirare a diventarlo, qualunque sia la barriera da infrangere - sia essa relativa alle copie vendute, ai premi ricevuti, alle acclamazioni pubbliche o anche semplicemente, come scriveva Luca in un commento precedente, al proprio pudore personale.
ciao Eva, grazie dei complimenti. ho avuto la stessa delusione le poche volte che sono andato a sentire qualche autore che conoscevo. gli scrittori, quando va male, sono degli insopportabili vanesi, e quando va bene sono persone piacevoli o interessanti di per sé. grandi libri sono stati scritti da persone mediocri o spiacevoli e viceversa. dunque meglio non fare mai la conoscenza con i propri eroi letterari...