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Jan 27Liked by Giovanni Zagni

La scrittura è una forma di comunicazione, e la comunicazione passa attraverso la pubblicazione e la vendita nelle librerie. La vendita, purtroppo, richiede compromessi come presentazioni del romanzo, pubbliche letture, firme di copie e, nei casi più fortunati, passaggi in televisione. Sono le regole del gioco, e valgono per tutti, salvo pochi fortunati che sono già famosi. Altrimenti, si rimane senza lettori. Però si può cercare di farlo con modestia e noncuranza, e parlando il meno possibile di se stessi.

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Ciao! Intanto, ci tengo a dirti che apprezzo sempre molto quello che scrivi qui e leggo sempre con molto piacere.

La questione sull'impossibilità del dirsi scrittori la trovo molto interessante e condivido anche in parte quello che sostieni. Sono cose su cui mi interrogo molto perché io ad esempio scrivo e non riesco mai, almeno per ora, a definirmi scrittore (me lo dicono più spesso gli altri ma io provo imbarazzo).

Ultimamente rispondo alla questione così: si chiarisce tutto se assimiliamo la professione dello scrittore a quella di altre forme artistiche (pittore, scultore, musicista, ecc.). Lo scrittore è tale non per hobby, ma se è riuscito a creare un proprio percorso coerente guidato dai propri risultati (cosa scrive, cosa pubblica e come). La questione del riconoscimento economico certamente conta - motivo del mio attuale imbarazzo - ma non ne farei una prerogativa necessaria (se guardassimo a chi vive o ha vissuto di libri Fabio Volo sarebbe uno scrittore, Kafka no). Se quel percorso artistico procede con onestà e risultato, gli altri ti riconosceranno come tale. E quindi, potrai dirti scrittore in modo possibile. Spero di essermi spiegato, se ci sarà mai modo sarebbe bello parlarne.

Luca

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Ciao! Sono nuova, ma andrò a recuperare i numeri precedenti perché mi è piaciuto molto quello che ho letto. Le questioni che sollevi mi interessano da due punti di vista. In prima battuta, quello di lettrice, perché fin da quando, a 16 anni, conobbi per la prima volta uno scrittore dal vivo a una presentazione (si trattava di David Leavitt, di cui avevo amato moltissimo i racconti fulminanti della raccolta "Ballo di famiglia", vado a memoria), mi sono pentita di esserci andata, perché da allora non sono più riuscita a leggere niente di suo, come se il fatto di aver associato le parole scritte a un essere umano avesse spezzato un incantesimo. In seconda battuta, quello di autrice di saggi: scrivere testi non di narrativa, almeno nel mondo culturale italiano (in quello anglosassone le cose vanno un po' diversamente), è un'attività, se non di serie B, sicuramente non paragonabile alla scrittura di romanzi (o poesie, o forse persino opere teatrali). Almeno nella mia esperienza, non si usa proprio definire scrittore o scrittrice qualcuno che, in gergo tecnico, si occupa soltanto di non fiction, il che mi impedisce a priori di essere scrittrice, e persino di poter aspirare a diventarlo, qualunque sia la barriera da infrangere - sia essa relativa alle copie vendute, ai premi ricevuti, alle acclamazioni pubbliche o anche semplicemente, come scriveva Luca in un commento precedente, al proprio pudore personale.

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