Nella scorsa puntata ho parlato di come arriviamo ai libri che leggiamo. Bentornati ai vecchi e benvenuti ai nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Perché non si leggono più poesie? Lo consideravo, fino ad oggi, un dato di fatto, una situazione ormai acquisita, come la scomparsa dei giochi dei gladiatori o dei busti di marmo. A una riflessione più approfondita, però, le risposte chiare e logiche mi sfuggono.
Ogni anno in Italia si pubblicano moltissimi titoli, le librerie traboccano di novità, nostrane e straniere, segno che una nicchia di lettori ancora c’è – ma d’altra parte oggi esistono solo le nicchie, siamo tutti rinchiusi in piccoli circoli di qualche decina o centinaia di migliaia di appassionati. Mentre le sezioni di poesia sono spesso nascoste, segno che in quel caso la nicchia dev’essere proprio minuscola. Altro indizio viene dalla rilevanza nel dibattito pubblico. Gli scrittori vengono ancora interpellati da giornali e trasmissioni televisive per raccogliere la loro opinione sull’attualità, i poeti sono invece del tutto assenti dalla scena. Chi ha velleità letterarie – politici, giornalisti, cantanti – sforna romanzi. Nessuno, a mia memoria, raccolte di poesia.
So bene che in giro ci sono tanti progetti editoriali di valore, anche recenti e fondati da giovani, che pubblicano nuova poesia. Così come conosco amici che tutt’ora seguono laboratori di poesia, scrivono versi, partecipano a concorsi. Allargo però lo sguardo e mi sembra che, a fronte di un ricchissimo e glorioso passato, specialmente nella nostra lingua, il presente della poesia appare ristretto. Trovo un’analogia con la situazione della musica contemporanea per orchestra: certo ancora esiste, ma quando è stata l’ultima volta in cui abbiamo sentito parlare, o abbiamo assistito, a un brano di un compositore vivente?
Eppure più di una caratteristica della poesia la renderebbe adatta al nostro tempo. È un genere che privilegia la brevità, ideale per la nostra attenzione frammentata e contesa da cento stimoli, cento distrazioni. Da molti decenni poi i versi liberi e gli esperimenti novecenteschi hanno abbandonato la necessità di imparare a costruire un endecasillabo e a trovare le rime.
A margine: come per le arti figurative, in realtà, l’assenza di schemi rigidi non significa l’inutilità delle conoscenze tecniche, per cui sospetto che per qualunque aspirante poeta sia ancora fondamentale allenarsi a costruire un sonetto o a mettere gli accenti giusti in un settenario. Ma questo è un altro discorso. A livello superficiale, scrivere poesie è più semplice, e senz’altro richiede meno tempo, che mettere insieme qualche centinaio di pagine di romanzo. In pochi però sembrano scegliere la prima e più facile strada.
Forse la poesia è migrata in altri generi artistici. Ma se guardo al panorama musicale contemporaneo, ad esempio, fatico a trovare grandi parolieri. Certo sono in ascesa generi che mettono al centro le parole, come il rap e i suoi derivati. Sono rari però i casi in cui la qualità dei testi si fa notare anche al di fuori della cerchia degli ascoltatori.
Avanzo un’ipotesi. La poesia è un genere così inattuale perché, anche se privilegia le forme brevi, richiede una dedizione e una concentrazione assoluta. Entro certi limiti, si può leggere un romanzo o un saggio e venire interrotti da qualcosa, riprendendo poi la lettura con poco sforzo. Alcune pagine si possono leggere perfino distrattamente e non mancano i lettori – che non giudicherò, anche se sono per me inconcepibili – che sono in grado di saltare con leggerezza parti ritenute poco interessanti. Il romanzo è anche un’opera di quantità, per così dire, in cui il tutto si coglie bene anche senza un’attenzione perfetta a ciascuna delle sue parti.
Ciò non è vero per la poesia. Quasi sempre ellittica, non di rado oscura, la poesia impone un’attenzione assoluta, pause silenziose, numerose riletture. Si può passare sopra dieci pagine di un romanzo senza perdere troppo, nella maggior parte dei casi, ma leggere dieci poesie di fila senza prestare attenzione non lascia nulla di nulla, è una pura perdita di tempo. Il passo della lettura della poesia è unico, differente. Lento, forse insopportabilmente lento per i tempi che viviamo.
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Caro Giovanni, ti scrive una tua vecchi(ssim)a conoscenza stavolta in veste di scrittore di versi da una vita con qualche raccolta alle spalle, e naturalmente di lettore. In realtà, chi scrive poesia si conta in numeri che sono impressionanti, in Italia e non solo. Ma c'è una differenza sostanziale tra l'Italia e - soprattutto - i paesi anglosassoni: in questi ultimi esiste un filtro critico che fa sì che l'amatore del genere non particolarmente portato resti a tediare amici e parenti, e non si iscriva d'ufficio alla vasta categoria dei geni incompresi. Quel filtro è fatto di fondazioni che assegnano premi in denaro sostanziosi, di università che di norma ospitano un "resident poet", cui si chiede di solito di tenere corsi di scrittura creativa, di riviste severe e serie che pubblicano per merito. In Italia manca completamente qualsiasi forma di filtro, e in aggiunta l'assassinio della poesia, colpevole di aver allontanato milioni di persona da qualsiasi desiderio di leggerne mai più, è la scuola, con le sue crudeli usanze di vivisezione del testo poetico, meglio nota come "analisi" (figure retoriche, tipologia dei versi, e qualsiasi altra scemenza tecnica che uccide), da parte di insegnanti che, bene che vada, l'ultimo poeta recente che hanno letto è Montale. Discorso lungo. Ma mi premeva aggiungere una nota. Ti leggo sempre e sempre volentierissimo, sei sempre all'altezza del ricordo che ho di te. Un abbraccio.