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Quante opere letterarie iniziano al risveglio, o all’addormentarsi, di un personaggio? Esempio di statistica impossibile, ma a una breve rassegna mentale ne emergono subito parecchie. La ricerca del tempo perduto di Proust, che con la sicurezza data dai miei balbettanti studi di francese propongo in originale:
Longtemps, je me suis couché de bonne heure.
E cioè, nella traduzione di Natalia Ginzburg: «Per lungo tempo, mi sono coricato presto la sera». Oppure La metamorfosi di Kafka, che nonostante i passati studi del tedesco metto solo in traduzione (di Emilio Castellani):
Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto.
E di sicuro ne dimentico tanti altri meno banali. Mi viene in aiuto Incipit. 2001 modi per iniziare un romanzo, curiosa antologia a cura di Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi e Antonio Stella (pubblicata da Skira nel 2008) che raccoglie appunto centinaia e centinaia di frasi incipitarie. Almeno due capitoli (Letti e Risvegli) raccolgono tanti altri esempi – da Novalis, Solženicyn, Camilleri, Benni, De Luca, O’Connor, e tanti che non avevo mai sentito – di personaggi che stanno per chiudere gli occhi o li hanno appena aperti.
La connessione tra libri e sonno (e non parlo qui di sogni, che è tutt’altro genere di questione) mi è particolarmente cara perché, fin da quando ero bambino, ho preso l’abitudine di leggere un po’ prima di addormentarmi; abitudine assai utile a mantenere viva la pratica della lettura, tanto che, quando il discorso tra amici cade sul rammarico di non leggere abbastanza, il mio modesto suggerimento è sempre di tenersi un libro sul comodino e di provare a leggere qualche pagina ogni sera. Di tutte le cose in cui vorrei avere costanza — studiare una lingua, fare esercizio fisico, far pratica di uno strumento musicale — questa è d’altra parte l’unica che il caso ha voluto acquisissi da bambino, e forse è inevitabile avere abbastanza disciplina da mantenere una o al massimo due consuetudini, perché altrimenti la nostra routine quotidiana sarebbe rigida come la vita di caserma.
Con il tempo mi sono poi accorto che la lettura premorfeica, più che una mera abitudine, è diventata una necessità: se infatti per un motivo qualsiasi non sfoglio qualche pagina prima di addormentarmi, il sonno diventa più disturbato, leggero, inquieto, in una parola assai peggiore. Dirò di più: negli ultimi anni mi trovo a leggere più saggi che romanzi e posso affermare, dopo estese esperienze sul campo, che il sonno che segue alla saggistica è di qualità inferiore a quello che garantisce la narrativa; e che anche qualche pagina del meno coinvolgente dei saggi è comunque più salubre, per il riposo, dell’astensione completa dalla lettura. Caso curioso di assuefazione che non dipende da una sostanza, spunto che lascio agli psicologi che mi leggono.
Il trito luogo comune che i libri portino altrove si declina per me nell’esperienza vissuta che i libri siano l’accompagnamento necessario per traghettare verso l’incoscienza del sonno, uno strumento per portarmi gentilmente fuori da me nel territorio sempre oscuro e inesplorato della notte. E come, nel detto proverbiale che ricordavo di recente, chi vive a Parigi pensa che chi abita altrove lo faccia per scherzo, così io non mi capacito che in tanti se ne vadano a dormire senza neppure una dose minima di parola scritta. Come faranno?
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