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Mi considero un lettore accanito, tuttavia la verità nelle parole della giornalista americana - quelle riguardanti il disagio di non ricordare un libro che si è letto - genera un che di "male". Sarà perché è un attacco frontale allo status di lettore accanito (ma come, ti definisci tale e non ricordi di che trattava quel romanzo?), eppure c'è tristemente del vero.

Credo però che in parte sia giustificato: uno ha una passione (in questo caso la lettura), la estremizza e di conseguenza è costretto a fare i conti con la quantità (nella speranza che nei grandi numeri vi sia tanta qualità).

Tuttavia non ho potuto fare a meno di gettare uno sguardo circolare alla mia libreria, una rassegna rapida dei dorsi di copertina, dei nomi degli autori e relativi titoli. Allora ecco che se anche qua e là c'è un buco (non mi ricordo assolutamente la storia raccontata in quel libro), grossomodo della maggior parte un'idea di massima posso affermare sia sopravvissuta nella memoria, ma ancor di più le sensazioni prodotte dalla lettura allora fatta, piacevoli o meno che siano state.

Mi chiedo allora se le sensazioni, appunto, non siano una valida alternativa laddove le informazioni, sepolte nel passato, sono giocoforza difficili da recuperare proprio a causa di quella esuberante quantità...

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