Nella scorsa puntata ho parlato del lettore maschilista. Bentornati ai vecchi e benvenuti ai nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato, cliccando qui.
Qualche giorno fa, incuriosito da ChatGPT – prima che il Garante per la protezione dei dati personali lo bloccasse per gli utenti italiani – ho chiesto all’intelligenza artificiale di scrivermi un sonetto di endecasillabi, dando indicazioni piuttosto specifici sul tema e i particolari che volevo inclusi (volevo che mi desse una mano a scrivere qualcosa per il compleanno dell’amico Giovanni).
Il risultato faceva piuttosto schifo. Non posso ricostruire quel testo, perché aggirare il blocco richiede escamotage tecnici al di là delle mie capacità, ma i difetti erano macroscopici: lo schema delle rime non veniva rispettato, le parole-rima erano banali, perfino gli endecasillabi non erano sempre endecasillabi. Il testo non era insensato, ma l’impressione generale era di qualcosa di brutto, senza guizzi. Ho chiesto di riscrivere una o l’altra strofa o di ispirarsi a qualche grande autore del passato, di solito per ricevere versioni ancora peggiori. Alla fine si salvavano forse due o tre versi e l’amico Giovanni, ahilui, ha ricevuto un’opera del mio ingegno.
Da quando si parla con insistenza dell’intelligenza artificiale generativa – che restituisce testi o immagini generati da un algoritmo rispondendo a input e richieste degli utenti – alcuni si sono chiesti se questa sarà in grado di sostituire gli esseri umani nella creazione di opere artistiche e persino letterarie. Si può immaginare un futuro in cui, volendo leggere un romanzo di un certo tipo, si potranno fornire le coordinate a qualche interfaccia e ottenere in cambio un’opera artificiale indistinguibile dal lavoro di un essere umano.
Quel futuro non sembra però imminente. Mentre facevo qualche lettura per un articolo sugli effetti per la disinformazione mi sono imbattuto nell’analisi più interessante che ho trovato sul tema in un editoriale di Noam Chomsky e altri due coautori sulla «falsa promessa» di ChatGPT pubblicato dal New York Times.
Scrive Chomsky che il momento in cui l’intelligenza artificiale sorpasserà gli esseri umani «non solo dal punto di vista quantitativo, in termini di velocità di elaborazione e dimensione della memoria, ma anche dal punto di vista qualitativo, in termini di scavo intellettuale, creatività artistica e ogni altra facoltà che caratterizza l’essere umano» è davvero molto lontano nel tempo, «al contrario di quel che si legge in certi titoli iperbolici», per ragioni intrinseche nel funzionamento dell’intelligenza artificiale stessa che abbiamo oggi a disposizione. Non è un discorso di migliorare macchine come ChatGPT, scrive Chomsky: per fare il salto di qualità bisognerebbe proprio averne a disposizione altre, che funzionano in modo differente.
ChatGPT e gli altri programmi di cui si discute in questi giorni fanno sostanzialmente un lavoro statistico: processando enormi quantità di dati, sono in grado di fornire la successione di parole più probabile di fronte a una certa richiesta. Ma la mente umana funziona in modo assai differente, dice Chomsky, che qui si basa sulla sua nota teoria sulle origini del linguaggio:
La mente umana non è, come ChatGPT e simili, un pesante motore statistico per far corrispondere i modelli, che divora centinaia di terabytes di dati per estrapolare la reazione più probabile in una conversazione o la risposta più probabile a una domanda scientifica. Al contrario, la mente umana è un sistema sorprendentemente efficiente e perfino elegante in grado di operare con piccole quantità di informazioni; non cerca di dedurre mere correlazioni tra dati ma di creare spiegazioni.
L’intelligenza artificiale è in una fase «preumana» o «non umana» di evoluzione cognitiva, aggiunge. Non è in grado di escludere, scegliere tra alternative, estrapolare, generalizzare: in altri termini, di avanzare autonomamente spiegazioni originali a partire da una serie di dati di realtà, in una parola di ragionare nel senso umano del termine. L’intelligenza artificiale attuale può credere allo stesso tempo e nella stessa conversazione che la Terra sia piatta o che sia sferica, e non c’è modo, per quanto la si interroghi, di farle avanzare un’interpretazione originale di una serie di fenomeni fisici. Allo stesso modo, e questo è un altro grande limite, non è in grado di fare scelte morali. Chomsky mostra una conversazione tra ChatGPT e un coautore sull’opportunità di trasformare Marte in modo da poter sostenere la vita umana e il risultato è, nelle parole dell’editoriale, «l’indifferenza morale che nasce dalla mancanza di intelligenza».
E venendo allora alla letteratura, è probabile che quei software siano in grado di diventare ottimi imitatori: forniti della capacità di processare tutti i testi disponibili, saranno in grado di ricreare le caratteristiche del lessico o della sintassi di Joyce o di Voltaire o di Atwood. Ma riusciranno mai a dare un nuovo e originale sguardo sul mondo, scegliendo in autonomia un punto di vista piuttosto di un altro sulla società o sulla natura, creando un mondo nuovo e alternativo, come nuovi e alternativi sono i mondi di tutti i grandi autori? Saranno in grado di scegliere, senza istruzioni precise, una storia tra le infinite storie possibili e di farne una metafora nuova della condizione umana, come il Capitano Achab o la Biblioteca di Babele o il Grande Gatsby?
La risposta, al momento, è no.
Certo è possibile che un autore, passando molte ore in conversazione con un’intelligenza artificiale, sia in grado di produrre risultati interessanti e persino artisticamente validi. Ma si tratterebbe, in quel caso, di un essere umano che usa nel migliore dei modi uno strumento sfruttando la sua intelligenza e inventiva, non di una creazione della macchina, né più né meno di quanto accade nel caso di un fotografo o di un pittore che utilizzano colori e pennelli, macchine fotografiche e obbiettivi, per creare qualcosa di bello. Nessuno si sognerebbe di dire che un grande scatto è un risultato ottenuto dalla macchina fotografica e non piuttosto, come in effetti è, tramite o perfino grazie alla macchina. Anche l’evoluzione tecnologica futura delle macchine fotografiche sarà interessante per quanto potrà fornire di nuovo ai fotografi: ma senza la persona che preme il pulsante, il mezzo è un mucchietto di vetro, plastica e metallo.
Così anche le intelligenze artificiali potrebbero essere un grande strumento, un aiuto agli autori che avranno voglia di sperimentare in modi che è perfino difficile da immaginare. Per un italiano non troppo propenso a utilizzare stratagemmi, al momento difficile anche da provare, visto il blocco attuale, e non vedo l’ora che ChatGPT torni a poter essere utilizzata per fare qualche tentativo, esplorare qualche possibilità. Però credo che l’amante del libro non artificiale possa dormire sonni tranquilli.
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Gent.mo Giovanni,
anzitutto Buona Pasqua; di poi, per non trascurare l'argomento intelligenza artificiale, se ormai è scontato che l'algoritmo ci batterà a scacchi, altrettanto non può dirsi quanto alla sua vena artistica (letteraria, figurativa, musicale...). Forse si ripropone sotto nuovi aspetti, l'eterno duello filosofia-scienza. Chi vincerà...la queste continua ed il Graal si allontana...ma il nostro dovere di cercarlo sempre e comunque, permane: e a me piace così. Alla prossima.
Gent...mo,
concordo pienamente. Ho letto del Tuo prossimo viaggio e sono partecipe della Tua esperienza...quanto a Mishima, il Suo spirito aleggia sul destino dell'umanità...irrangiugibile forse per i nostri tempi e la nostra mentalità. Un cordiale saluto.