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Milano sotto Milano è un libro appena pubblicato da minimum fax e scritto da Antonio Talia che, diciamolo subito, è anche un mio caro amico (e che un paio di anni fa ha pubblicato un bel libro sulla criminalità calabrese che vi consiglio caldamente). Parla di dieci vicende di criminalità avvenute a Milano e dintorni negli ultimi anni. Anche se tratta di vicende di cronaca recente e recentissima, mi ha dato da pensare su altri temi che, in modo confuso, mi ronzavano in testa da un po’.
La prima ha a che fare con la città. Ora, io non so in che rapporti siate voi con Milano. Io ci vivo da parecchio tempo, e non mi è mai piaciuta troppo. Tutti dicono che è una città «comoda», «pratica», «che funziona», «dove c’è tutto», ma a me sembrano descrizioni che andrebbero bene per un’automobile o per un supermercato, più che per un posto dove abitare. La cosa che più mi urta di Milano è la sua quasi uniforme bruttezza architettonica, fatti salvi pochi angoli e poche zone da cercare con il lanternino e comunque normalmente non frequentate da chi non ha tenute in Toscana o capitali a Lugano.
Mi rendo conto che le città che appagano lo sguardo non sono così comuni in giro per il mondo, ma in Italia, perdonatemi lo sciovinismo, quelle in cui ogni volta che si fanno due passi sembra di essere in Blade Runner – come nel caso di Milano – sono l’eccezione e non la regola. Ammettiamolo: fosse in Belgio, o in Malesia, Milano sarebbe un gioiello. Ci sono vastissime zone del mondo, forse la maggioranza, in cui il fascino o la bellezza, con rare eccezioni, non è nelle città. Ma Milano è in Italia, io sono italiano, per di più di provincia, e spero di non offendere nessuno se dico che Milano è proprio brutta.
La mia diffidenza non si è certo placata leggendo il libro di Antonio, che a questa insofferenza estetica ne ha aggiunta una, per così dire, morale. Le storie che racconta il libro sono di omicidi irrisolti, bande di ’ndranghetisti, appalti truccati, tutto un sottobosco di gente che maneggia un sacco di soldi, spesso ne ruba la gran parte, ne millanta un’altra, li perde, fa di tutto per recuperarli, finisce male nel tentativo. Per me, residente scettico, tutto questo delinquere si è appiccicato facilmente sulla mia idea di una città ossessionata dai soldi – neppure dalle apparenze, che spesso non sono neppure troppo curate: proprio dal contante, dagli sghèi – piuttosto spiccia, talvolta brutale.
Il libro mi ha anche fatto pensare ad altro, per fortuna, e non solo a Milano. Non è certo molto originale osservare che tutte le storie dell’appassionante filone cosiddetto true crime – e qui penso anche a qualche grande serie podcast o Tv degli ultimi anni, come The Jinx o Serial – dicono qualcosa dell’essere umano. A volte, per similitudine: in qualche vicenda è inevitabile riconoscere emozioni che abbiamo provato tutti (la rabbia, la frustrazione, la paura) e si riconosce, con un certo brivido, che tra noi e loro c’è qualcosa in comune.
Altre volte, per contrasto. A leggere certe vicende del libro di Antonio, per esempio, ci si rende conto che esistono davvero persone che fanno un esercizio quotidiano della violenza, se non attraverso i gesti tramite le minacce, le parole. Sono rare, per fortuna, ma si vorrebbe credere, per propria tranquillità interiore, che non esistano: a leggere le storie delle famiglie criminali dell’hinterland milanese, però, ci si deve ricredere. Una realizzazione che scuote la convinzione un po’ ingenua che, alla fin fine, si debba aver fiducia del prossimo, e che i casi di cronaca siano errori isolati di altri esseri umani come noi, spinti dalla necessità o da un momento di pazzia. Non è così. Il libro di Antonio è pieno di personaggi che vivono quotidianamente nell’intimidazione e nella violenza.
E poi c’è il denaro. Leggendo la storia piuttosto surreale del Centro culturale “Tommaso Moro”, un circolo di vecchi arnesi della prima repubblica che trafficavano per truccare appalti prima di Expo, vien da pensare che tutte le volte che ci sono di mezzo grandi cifre le manovre dietro le quinte siano inevitabili, che il denaro e il potere che gli si accompagna abbiano in loro stessi un potere corruttore più forte di ogni legge, regolamento, convenzione del vivere comune.
Ritorno, per finire, a Milano. Sono passato molte volte sotto il portone dove aveva sede il “Tommaso Moro”, così come conosco le zone dell’omicidio del primo capitolo, e ho frequentato per diverso tempo la Chinatown milanese. C’era un’altra città, proprio di fianco e intorno a me, a cui mi ha fatto pensare Milano sotto Milano. Quante cose non vediamo, che sono proprio sotto i nostri occhi, e quante storie tragiche e straordinarie ci passano di fianco ogni giorno, mentre ce ne andiamo presi dai nostri affari.
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