Nella scorsa puntata ho parlato di Postwar di Tony Judt, un grande libro di storia. Se siete nuovi qui, ecco una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che trovi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. E infine, se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere le prossime uscite di questa newsletter nella tua casella di posta cliccando qui.
Di recente ho pubblicato, insieme all’amico Michel, un saggio che si chiama Storie false. Lo trovate qui sul sito dell’editore o negli altri luoghi dove si vendono libri.
La Germania è il cuore economico dell’Europa e per diversi aspetti ne è anche quello politico, eppure nel campo culturale si può dire che sia una periferia. Non è un giudizio di valore, ma un’osservazione sulla posizione relativa alle altre culture nazionali europee e sul potere di influenza nel cinema, nella musica, nella letteratura. Tony Judt, nella sua storia dell’Europa del secondo dopoguerra di cui si parlava la scorsa settimana, osserva come, prima ancora dell’egemonia americana che dura ancora oggi, il punto di riferimento per la cultura europea sia stata a lungo la Francia, mentre la cultura tedesca (occidentale) era asfittica e poco innovativa.
E del resto se si pensa a scrittrici e scrittori contemporanei europei di grande successo vengono in mente francesi (Emmanuel Carrère, Annie Ernaux, Michel Houellebecq), britannici e irlandesi (Ian McEwan, Zadie Smith, Sally Rooney e davvero molti altri), persino italiane (Elena Ferrante) o polacche (Olga Tokarczuk), ma tedeschi, nessuno. Tra i maggiori casi letterari degli ultimi anni spiccano La mia battaglia di Karl Ove Knausgård (norvegese) o Patria di Fernando Aramburu (spagnolo) ma, a meno di sbagliarmi, di nuovo nulla che arrivi dalla Germania.
Certo non sarebbe corretto dire che la Germania non abbia prodotto grandi scrittori, di recente. C’è W.G. Sebald, morto nel 2001 e comunque con una vita a cavallo tra il continente e l’Inghilterra. Nella generazione precedente, Günter Grass; l’austriaco Peter Handke ha vinto il Nobel nel 2019 e Herta Müller nel 2009. Ma si resta con l’impressione che la scena letteraria tedesca sia poco conosciuta o poco accessibile all’estero. Forse la lingua ha un peso, ma non credo che il norvegese sia più diffuso. D’altra parte ci sono ricchi filoni di thriller scandinavi o di romanzi giapponesi che smentiscono l’ipotesi.
Non so più ricostruire come sono arrivato al Rombo di Esther Kinsky (Iperborea, 2023, 288 pp., ed. or. 2022), libro per più aspetti curioso. L’autrice è un’importante scrittrice tedesca contemporanea (nata nel 1956), ma le vicende sono ambientate in Friuli – in cui, a quanto pare, la scrittrice vive diversi mesi all’anno – e il filo conduttore è il devastante terremoto che ha colpito la regione italiana nel 1976.
È un libro con una trama esile, una sorta di storia orale – di fantasia, o almeno così dichiara l’autrice – dei sopravvissuti al disastro, inframmezzata da pagine che descrivono l’ambiente, la natura, le leggende del territorio. Assomiglia a una raccolta di frammenti di diari o di interviste, in cui parlano gli abitanti della zona del Friuli ai piedi del massiccio del Canin. Sono storie di povertà e di emigrazione, narrate con una voce straordinariamente mimetica. Verrebbe da dire infatti che si tratti di vere interviste, se non ci fosse un’indicazione iniziale che si tratta di opera di fantasia.
Le schede di presentazione accostano invariabilmente Kinsky proprio a W.G. Sebald e in effetti qualche somiglianza c’è: condividono l’atmosfera sospesa, sognante, costruita per divagazioni e accostamenti. Anche se Rombo non arriva agli esiti miracolosi degli Anelli di Saturno, hanno in comune una certa nobile maestosità, lo sguardo distaccato senza essere freddo. È notevole che un’autrice tedesca sia stata in grado di scrivere un libro così profondo ed empatico su una vicenda e un territorio di un altro Paese, creando personaggi e storie del tutto convincenti. Non so cos’altro si scriva in Germania, ma se ci sono altre Kinsky là fuori vale la pena di saperne di più.
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In questo momento sto leggendo Kairos dell'autrice tedesca Jenny Erpenbeck. L'ho iniziato spinta dalla curiosità per alcune critiche positive - il cosiddetto passaparola di noi lettori - avendo subodorato che potesse essere nelle mie corde, ma sempre con l'atteggiamento di chi può aspettarsi qualcosa che può deluderlo. E invece il libro, il modo in cui è scritto, la voce dell'autrice, il ritmo, la storia che vi è narrata e i rimandi alla Storia di chi ha vissuto a Berlino negli anni prima della caduta del muro mi sta affascinando. Ecco, se si vuole accostarsi a una autrice tedesca vivente, credo che questa Jenny Erpenbeck valga la pena.
Patrick Süskind, anche se credo l’ultimo romanzo sia del 2006 circa. Magari troppo mainstream per alcuni cultori delle chicche, ma uno scrittore indubbiamente notevole. L’ho amato fin dalla lettura de “Il profumo”, uscito a puntate sul Corriere, all’epoca della prima edizione.