Siamo arrivati alla decima uscita: chi lo avrebbe mai detto. C’è anche motivo di festeggiare: qualche giorno fa la rivista giuridica Il Caso ha ripreso uno dei miei post recenti. Una bella soddisfazione (grazie, Paola!) e benvenuti a tutti i nuovi iscritti. La scorsa settimana ho parlato di che cosa succede a rileggere i libri. Se siete nuovi qui e non siete ancora iscritti, potete ricevere comodamente le prossime uscite nella vostra mail, a partire da sabato prossimo, iscrivendovi a questo link.
C’è un bel saggio di Franklin Foer sul tema – oggi piuttosto inflazionato – dell’influsso che hanno le grandi multinazionali del web sul mondo dell’informazione e, più in generale, sulla democrazia. Si intitola World Without Mind ed è pubblicato in italiano da Longanesi con il titolo I nuovi poteri forti. L’autore è un purissimo prodotto dell’élite culturale liberal americana e viene da una famiglia particolare: ex direttore della storica rivista progressista The New Republic, è il fratello maggiore del romanziere Jonathan Safran Foer – quello di Ogni cosa è illuminata – e di Joshua Foer, che ha scritto un gran bel libro sul funzionamento della memoria.
World Without Mind racconta l’esperienza dell’autore alla direzione di The New Republic e a partire da questa fa molte riflessioni intelligenti sul presente e il futuro del giornalismo, sul suo pubblico e sui suoi modelli di finanziamento. Intorno a metà libro c’è un’analogia curiosa. Scrive Foer:
Osservando abbastanza a lungo Google, Facebook e Amazon, questi diventano un po’ come l’Italia, un paese dove non è mai del tutto chiaro come operi il potere.
Il passaggio mi è rimasto impresso per due motivi. In primo luogo, perché il libro parla di tutt’altro. Foer non nomina l’Italia da nessun’altra parte, e, da quanto sono riuscito a scoprire, non ha particolari legami con il nostro Paese. Ma oltre a questo mi ha colpito anche perché è un’osservazione esatta, del tutto condivisibile. A molti italiani, me compreso, il funzionamento del potere appare come un enigma.
Mi sono chiesto a lungo da dove viene questa opacità del potere in Italia, una caratteristica tanto spiccata da arrivare addirittura sulle pagine di un intellettuale straniero non specializzato nelle nostre cose, come se fosse un luogo comune.
Un’altra lettura mi ha aiutato a mettere a fuoco il problema. C’è un famoso saggio dello storico americano Richard Hofstadter che si intitola The Paranoid Style in American Politics, pubblicato per la prima volta oltre cinquant’anni fa, nel novembre 1964, ma invecchiato benissimo. Hofstadter scriveva che nella politica americana era diffuso da molto tempo un modo di pensare distorto e paranoico. Parecchi cittadini, ma anche molti politici, credevano in complesse teorie del complotto, nelle quali il ruolo del nemico che voleva distruggere l’America era rivestito di volta in volta dai cattolici, dai massoni, dagli Illuminati, dall’Unione Sovietica. Chi ricadeva in questo “stile paranoico” era in un costante stato di «esagerazione febbrile, sospettosità e fantasia cospiratoria».
Queste «menti arrabbiate» negavano l’esistenza del caso e dell’incompetenza umana. Perfino nei conflitti che gli Stati Uniti avevano combattuto intorno al mondo, dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra di Corea, i paranoici interpretavano gli errori di politici e generali come intenzionali. Dietro l’apparenza c’era parte in realtà una più ampia macchinazione:
Gli storici della guerra sanno che è in buona parte una commedia di errori e un museo di incompetenza; ma se per ogni errore e ogni azione incompetente è possibile sostituire un atto di tradimento, si aprono all’immaginazione paranoica molte prospettive affascinanti di interpretazione.
Nello “stile paranoico” descritto da Hofstadter non esistono insomma errori, ma solo sabotaggi. Non esistono previsioni sbagliate, ma piani di tradimento ben nascosti. Hofstadter attribuiva il modo di pensare distorto e paranoico a una sola parte politica (la destra) e la sua chiave di lettura resta validissima ancora oggi per interpretare il modo di pensare di parte dell’elettorato repubblicano, fino alle frange estreme dei cospirazionisti di QAnon.
Dalle nostre parti, mi pare, si incontra spesso il modo di pensare paranoico. La sua peculiarità però è di essere trasversale. L’approccio paranoico nostrano è condiviso tanto da elettori di destra quanto di sinistra. Nella mia esperienza l’ho incontrato tanto in addetti ai lavori, come giornalisti che seguono la politica di mestiere, quanto in comuni cittadini più o meno informati.
L’approccio paranoico italiano è identico a quello descritto da Hofstadter: si basa sull’assunto che tutto quanto accade nelle manifestazioni esteriori del potere – voti parlamentari, formazione dei governi, nomine di questo o quel ministro – sia in realtà parte di un piano già deciso altrove, di trattative segrete, di accordi che mirano ad altro.
In comune con lo stile paranoico americano c’è la fede nell’inesistenza del caso, dell’errore e della coincidenza. I leader politici non possono solo aver sbagliato i loro conti, oppure non aver letto bene la situazione, o ancora essere semplicemente poco capaci: le loro mosse devono essere lette su un altro piano, per cui anche una mossa suicida è in realtà la contropartita per qualcosa che riceverà dopo, o che ha già ricevuto qualche alleato.
Ci sono però delle differenze rispetto all’America di Hofstadter e la principale è che da noi spesso non è chiaro chi stia davvero tirando le fila. Non certo per mancanza di colpevoli, quanto piuttosto per un eccesso di possibilità: la massoneria, Giuliano Amato, i servizi segreti, la Chiesa, la criminalità organizzata, alti funzionari della burocrazia romana, l’Europa, gli Agnelli. Frasi del tutto plausibili pronunciate dai sostenitori dell’approccio paranoico italico suonano come: «X al ministero Y lo ha voluto Confindustria, per fregare il candidato del Vaticano, e la vendetta si vedrà alle prossime comunali di Roma».
Lo stile paranoico nostrano vede la grande cospirazione tesa non tanto alla realizzazione di un progetto politico o di dominio del mondo (come negli Stati Uniti della Guerra fredda) ma, assai più prosaicamente, all’interesse personale. La convinzione alla base di tante letture del funzionamento del potere è che tutti facciano, sotto sotto, soltanto i propri interessi, spesso nel senso più gretto e meschino possibile: assumere parenti, portare a casa del denaro, ottenere potere personale.
Come notava Hofstadter, gli immaginari protagonisti delle vaste cospirazioni create nella mentalità paranoica sono spesso una proiezione delle persone che li denunciano. Questa lettura psicologica si applica assai bene al caso italiano, una cultura per altri aspetti lontana da quella americana. Una cultura che, nelle proprie tendenze peggiori, è cinica, opportunista, con scarso senso della istituzioni. E chi soccombe allo stile paranoico italiano proietta le poco edificanti debolezze locali anche a tutti i livelli della politica e delle istituzioni, in una parola del potere.
Gli esempi di questo approccio paranoico sono numerosissimi, quotidiani. Per citare solo l’ultimo in cui mi sono imbattuto: pochi giorni fa è stato suggerito da più parti – da testate di informazione, ma anche da leader politici – che Lorenzo Cesa, politico dell’UdC, fosse stato indagato in un’inchiesta sulla ’ndrangheta, e la sua abitazione perquisita, perché aveva rifiutato di appoggiare il governo Conte durante la crisi. A considerarla seriamente, l’insinuazione è gravissima: il potere giudiziario sarebbe servo e strumento punitivo del potere politico, o in qualche modo colluso. Cose del genere succedono in Russia, o in Turchia, insomma in democrazie per modo di dire. In Italia lo stile paranoico fa diventare una lettura del genere – e innumerevoli altre, non meno ardite – possibile, plausibile.
Perché in Italia sia diffuso questo peculiare stile paranoico non è facile da capire e rimane l’incertezza di questa settimana. Il mio amico Cesare sostiene che sia perché in Italia ci sono stati davvero più complotti reali: depistaggi, misteri, manovre oscure. Ma siamo certi che sia vero? Su Netflix c’è un documentario che si chiama Un omicidio irrisolto: Il caso Rohwedder. Provate a guardarlo: vedrete che, quanto a depistaggi e complotti, nel 1991 la Germania non dava meno spunti dell’Italia.
Sono partito dai libri e lì ritorno. Della mentalità paranoica nostrana si vedono gli effetti non solo nei giornali e nei commenti politici: anche gli scrittori ne sono affetti, inclusi – forse soprattutto – quelli celebri per il loro impegno civile. Penso a Sciascia e alle sue teorie sulla scomparsa di Majorana, a cui il fisico Amaldi cercò di controbattere con grande buonsenso ma, ahimè, non grande fortuna. Penso alla celebre relazione di minoranza dello scrittore siciliano sul sequestro Moro: a volerla analizzare per bene (qui il testo), un esempio perfetto di stile paranoico. Me ne scusino gli estimatori di Sciascia, autore per tanti versi notevolissimo. Arrivati a questo punto, peraltro, il mio spazio è finito. Non voglio annoiare troppo i miei lettori: ne riparleremo.
Foto di Ashley Batz su Unsplash
Non ho ben compreso: quale sarebbe lo stile paranoico di Sciascia? La relazione di minoranza Moro è un insieme di cifre, dati e letture la cui conclusione era che lo stato che non voleva trattare nè scendere a compromessi per la liberazione dell'ostaggio, in realtà non avesse fatto nulla di concreto per liberarlo mostrando al contempo un incredibile spiegamento di iniziative fumose e incomprensibili (alcune anche abbastanza grottesche, come il famoso pianoZ, o le foto dei sospettati diffuse ai media, tra cui c'erano alcuni soggetti che erano già in galera). Mi dispiace ma non condivido affatto l'attribuzione di questo aggettivo alla figura e all'attività di Sciascia, che invece pagò caro il fatto di non aver mai voluto cedere a facili letture complottiste o paranoidi, cercando di leggere la realtà con gli occhi della più lucida ed onesta razionalità. Se sei davvero un amante dei libri come dichiari di essere dovresti dimostrare più rispetto per questo grande scrittore. Ti assicuro che la chiosa sommaria e approssimata con cui hai tirato nel calderone anche Sciascia denota il contrario. E non si tratta di un'interpretazione paranoica