Nella scorsa puntata ho parlato di un bel libro che parla di estinzioni. Se quello che leggi qui sotto ti piace, potresti inoltrarlo a qualcuno che pensi apprezzerebbe. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
La lettura sta alla scrittura come ascoltare la musica sta a saperla suonare. Si può benissimo essere appassionati solo della prima attività senza passare mai alla seconda; la seconda ha bisogno della prima, ma non viceversa; e alla seconda, ma non alla prima, è associata forse ingenerosamente una vera e propria arte riconosciuta.
Non tutti i grandi lettori scrivono, così come non tutti i grandi ascoltatori di musica studiano uno strumento. Ci sono molti grandi lettori che non hanno alcuna ambizione scrittoria, e considerano la propria passione ben separata dalla capacità di produrre gli oggetti della loro attenzione.
Lo scrittore, al contrario, ha bisogno di leggere molto. Questa semplice verità tende ad essere spesso dimenticata. Tanti aspiranti scrittori producono cose drammaticamente brutte non perché manchino di sincera passione o di impegno, ma perché, prima di cominciare, non hanno letto abbastanza, oppure hanno letto soltanto cose di scarsa qualità. Il primo insegnamento di una scuola di scrittura dovrebbe essere: ci rivediamo tra dieci anni, ora andate a casa e leggete tutto quello che potete. Certo, non sarebbe un grande modello di business.
Lo scrittore senza basi si avverte immediatamente. La scrittura, infatti, è un’arte che si apprende con difficoltà e fatica, e soprattutto con un sacco di allenamento. Prendiamo di nuovo l’analogia con gli strumenti musicali: non esiste e non è mai esistita una persona che, messa davanti a un pianoforte per la prima volta, sia subito in grado di suonare Chopin. Ci sono semmai bambini particolarmente talentuosi, o che si appassionano alla pratica musicale molto presto, e che quindi saranno in grado, di lì a qualche anno, di suonare brani molto difficili. Ma l’unica via è che passino un sacco di ore al pianoforte.
Con la scrittura è la stessa cosa. Le prime prove di scrittura di chiunque sono invariabilmente delle schifezze e, se nel frattempo si è sviluppato un minimo di sensibilità verso la letteratura, il povero aspirante scrittore non potrà che rendersene conto. Molti mesi o anni di fatica potranno forse portarlo da qualche parte, se insiste. Ma non si scappa dal sentiero stretto: la letteratura nasce soltanto da altra letteratura.
Molti scrittori famosi hanno cercato di far passare l’idea di essere in grado di scrivere senza preparazione, senza revisione, dal nulla: esempi ne sono Jack Kerouac – che ripeteva spesso, nelle interviste, di aver scritto Sulla strada in tre settimane – e Sandro Penna – che diceva di aver sognato alcune delle sue poesie più belle e di averle poi buttate giù su un pezzo di carta, svegliatosi nel cuore della notte.
In entrambi i casi si tratta di bugie, nient’altro che la volontà degli autori di creare il proprio mito o di diventare personaggi letterari essi stessi (il rotolo continuo di Sulla strada esiste davvero, per esempio, ma la storia è molto più complicata e Kerouac lavorò al romanzo parecchi anni). La scrittura spontanea e ispirata non esiste o, se esiste, produce cose pessime, mentre anche i testi in apparenza più immediati hanno in realtà una lunga e laboriosa gestazione.
In un saggio molto famoso Edgar Allan Poe mostrò ad esempio che nella sua celebre poesia Il corvo non c’era nulla di improvvisato e che ogni scelta (di lunghezza, di metro, di composizione) era frutto di un ragionamento preciso e ricostruibile (il saggio si chiama The Philosophy of Composition, pubblicato nel 1846 – si può trovare una traduzione italiana qui). Viceversa, se avete mai provato a leggere qualche testo della beat generation, che facevano della spontaneità creativa uno dei loro punti fermi, capirete quanto possono essere brutti i testi davvero improvvisati.
Certo, la scrittura è anche una tecnica, e qualche cosa si può imparare anche, per dir così, a tavolino. Quindi, tornando alla nostra ipotetica scuola di scrittura, prima di congedare gli studenti per dieci anni si potrà comunque dare qualche suggerimento pratico su come si gestiscono i personaggi o come si usa la punteggiatura. Ma poi bisognerà congedarli lo stesso.
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