Nella scorsa puntata ho parlato del nostro essere alla periferia dell’impero. Se quello che leggete qui vi piace e non siete ancora iscritti, potete ricevere questa newsletter comodamente nella vostra casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Qualche settimana fa un amico mi ha detto che una casa fino ad allora di proprietà della sua famiglia era stata venduta e che, se fossi passato a dare un’occhiata ai libri che c’erano, potevo prendere quelli che volevo. Presto ero davanti al cancello con diversi borsoni vuoti nel portabagagli dell’auto, come se dovessi fare un trasloco o una rapina.
Sono tornato a casa dopo un accurato saccheggio. Tra le spoglie c’erano molti testi di storia antica e di autori greci e latini, perché la precedente proprietaria della casa era un’insegnante di liceo. Sono stato attratto soprattutto da quelli, in parte per un motivo capriccioso – erano edizioni eleganti, bei libri rilegati e austeri. Con il passare del tempo divento un compratore di libri sempre più choosy, allontanandomi nei nuovi acquisti sia dalle edizioni economiche che dagli ebook. Ma il vero motivo era un altro: quei titoli erano la promessa di esplorazione di un continente sconosciuto.
Da lettore, il mio rapporto con la cultura classica è stato molto discontinuo. Ho avuto per le mani qualche esempio di quella letteratura, che ho ammirato ma, per un motivo o per l’altro, mai completato. Da studente non ho avuto basi davvero solide. Sono andato al liceo scientifico, dove c’era parecchio latino ma i testi si incontravano per lo più nei brani da tradurre o dell’antologia. All’università ho fatto giusto un paio di esami di storia romana e letteratura latina.
Il caso – la biblioteca abbandonata – mi ha dato l’occasione per inoltrarmi lungo quelle nuove piste. Mi sono reso conto che c’è una gioia particolare, per il lettore, nello scoprire mondi nuovi ad ogni pagina, non troppo diversa da quando, da ragazzi, si sente per la prima volta il disco di un genere nuovo e si resta folgorati (a me successe con Aqualung dei Jethro Tull, per esempio).
Sono partito da un romanzo contemporaneo ma di argomento antico, Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. L’autrice immagina i pensieri dell’anziano imperatore, mentre ripercorre la sua vita sentendo prossima la fine: tanti libri con simili premesse sono un presuntuoso esercizio di stile, ma nel caso delle Memorie di Adriano ne esce invece un capolavoro. È stata la migliore delle introduzioni.
Sono passato allora alla storia antica: una biografia di Alessandro Magno. Nel 1973 il suo autore, Robert Lane Fox, aveva solo ventisette anni: eppure riuscì a pubblicare un tomo di oltre cinquecento pagine su uno degli uomini più noti dell’antichità, con buone recensioni da parte degli specialisti (uno si chiede con un po’ di vergogna che cosa stesse facendo a ventisette anni).
Oltre alla mia personale, la biografia di Alessandro mi ha messo davanti a un’ignoranza collettiva. Ci sono infatti tanti snodi fondamentali di quella storia poco o nulla conosciuti, episodi raccontati solo da testimoni inaffidabili, vuoti da riempire con ipotesi basate più sul ragionamento che su prove. Non si conosce, ad esempio, il luogo esatto in cui è stata combattuta la battaglia di Isso, il primo degli scontri decisivi tra Alessandro e le armate persiane. Sappiamo tutto sommato poco di che cosa successe nella battaglia di Gaugamela, il secondo scontro fondamentale della campagna, e come fece il re macedone ad avere la meglio su forze diverse volte superiori (la dimensione precisa degli eserciti in campo è ugualmente sconosciuta). Così come non sappiamo neppure perché fu ucciso Filippo, il padre di Alessandro, dato che le versioni contemporanee sono parecchio implausibili.
Non mi spingo certo fino a dire che la storia antica sia un campo in cui l’ignoto sia più diffuso che altrove: si tratta quasi certamente di una questione di prospettiva. Se penso ai pochi campi in cui mi sento più esperto, vedo domande senza risposta altrettanto fondamentali: ma lì il tempo e l’esperienza mi hanno fatto mettere da parte in fretta, e dimenticare, quanto non si sa e non si può sapere, per dedicarmi alle piste già battute, alle strade già tracciate da altri. Lo specialista sa che nella sua materia ci sono ampie zone avvolte nell’oscurità, e ci lavora ai margini, quando può, ma più spesso le deve ignorare per tracciare i suoi percorsi dove c’è già un po’ di luce.
A pensarci bene, ci sono tanti campi in cui l’ignoto è ben più del noto. Uno dei casi più affascinanti è la vita di Gesù, di cui non si sa nulla prima dell’inizio della sua predicazione, intorno ai trent’anni: e le fonti certe sulla sua vita sono limitate a qualche pagina o addirittura a qualche riga, quasi nulla oltre ai Vangeli. Avevo letto un libretto sul tema, Il Gesù moderno di Giancarlo Gaeta (Einaudi, 2010), trovandolo un’affascinante e involontaria meditazione sull’ignoranza. Uno degli uomini più celebri e influenti della storia – Dio stesso, per chi crede – ha una biografia in larghissima parte sconosciuta.
Il mio incontro fortunato con una biblioteca mi ha dato tanto da conoscere e allo stesso tempo molto di più che non potrò, non potremo mai sapere. Una grande occasione di gioia e di umiltà.
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Bellissima riflessione !