Nella scorsa puntata ho parlato dei libri scritti con l’intelligenza artificiale. Bentornati ai vecchi e benvenuti ai nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato, cliccando qui.
A Milano, in zona Porta Romana, c’è una piccola libreria giapponese che si chiama Tanabata. L’ho scoperta grazie al collega Davide che vive da quelle parti e, un paio di settimane fa, sono andato a visitarla. Ho in programma un viaggio in Estremo Oriente e lo approccio, al solito, bibliograficamente: mi occupo poco di monumenti e ristoranti – per fortuna andrò con chi lo farà molto bene per me – cercando piuttosto di leggere qualche libro opportuno (Arbasino direbbe “giusto”) prima di partire.
Della cultura giapponese so poco ma ne subisco il fascino come accade a molti occidentali. Ho letto qualche cosa di Haruki Murakami, apprezzando L’arte di correre (Einaudi, 2009, 162 pp.), e Confessioni di una maschera di Yukio Mishima (Feltrinelli, ed. or. 1949, 224 pp.) in una traduzione tremenda che lo rendeva quasi illeggibile, ma per il resto non conosco per nulla i suoi autori contemporanei. Ma non me ne preoccupo troppo: è possibile peraltro che il classico romanzo “occidentale” sia piuttosto alieno dalla tradizione giapponese, ricca di altre arti.
Finora, dunque, a nutrire il fascino per il Giappone sono stati titoli non strettamente letterari. Su tutti un bel libro di Ivan Morris consigliatomi dall’amico Davide, La nobiltà della sconfitta, che raccoglieva storie di eroi perdenti ma ugualmente celebrati nella storia giapponese (Guanda, 1983, ed. or. 1975, 344 pp.); ed Embracing Defeat di John W. Dower (W.W. Norton, 1999, 688 pp.), un saggio sul modo sorprendente, almeno ai nostri occhi, con cui la cultura e la società giapponese reagirono alla devastante sconfitta della Seconda guerra mondiale: da un lato accettando tanti aspetti della cultura statunitense, con un trasporto quasi incomprensibile per i nemici di ieri, dall’altro restando impermeabili e refrattari ad altre novità.
Questo mi sembra d’altra parte uno degli aspetti che colpiscono e attirano di più lo sguardo occidentale: una civiltà che non ha assimilato fin dalle origini il principio di non contraddizione, come da noi fin dai tempi dell’antica Grecia, e in cui di conseguenza gli opposti convivono senza scontri. Il vincitore e il vinto possono allora scambiarsi i ruoli con facilità, la gioia non abbandonare mai una nota di tristezza; forse per conseguenza di quest’amalgama contraddittoria, verità e bellezza si vanno a cercare nelle sfumature e nelle piccole cose, piuttosto che nelle teorie grandiose o nei monumenti di pietra.
E dunque dalla libreria Tanabata di Milano, mentre l’anziano gestore, un signore minuto che si occupa di traduzioni nel retrobottega, consigliava il mio entusiasmo osservandolo con benevolo sorriso, sono uscito con la Storia del Giappone di Kenneth G. Henshall (Mondadori, 2005, 345 pp.) e una scelta di haiku di Issa (La Vita Felice, 2007, 128 pp.).
C’è una logica, un percorso accennato, in queste scelte: per le mie letture di viaggio parto sempre da una storia generale, che si è rivelata più volte molto utile. Le grandi vicende di luoghi lontani sono di norma poco o pochissimo note e averne un’idea anche vaga è spesso prezioso. D’altra parte, immaginiamo di venire in Italia dall’altra parte del mondo e di non sapere nulla dell’impero romano: il nostro (o almeno il mio) livello di ignoranza di quanto accaduto nei secoli in Messico o in Cina non è troppo differente.
Accanto alla storia, provo a leggere qualche grande classico letterario: la scelta qui è caduta su Kobayashi Issa (1763 - 1827), uno dei più celebri autori di haiku. Forma poetica di giusta fama e grande semplicità apparente, che riesce ad arrivare al lettore persino in traduzione. Manca ancora all’appello, e anzi qui accetto suggerimenti, un libro sul Giappone contemporaneo, qualcosa per farsi un’idea della sua politica e società. Per l’India ad esempio fu l’ottimo India After Gandhi di Ramachandra Guha (HarperCollins, 2019, 992 pp.) e spero di scovare un equivalente giapponese.
Ecco allora un nuovo percorso per le mie letture, nel tempo che mi lasceranno il lavoro e gli impegni. Per il lettore accanito poche gioie sono pari a quella di addentrarsi in una cultura sconosciuta.
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