Nella scorsa puntata ho parlato dell’estraneità dei libri ai loro autori. Bentornati ai vecchi e benvenuti ai nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Uno dei “diritti del lettore” che Daniel Pennac elenca in Come un romanzo è quello di «non finire il libro». Più che un diritto, sembrerebbe trattarsi di una necessità: un’attività personale come la lettura porta con sé naturalmente la libertà di non concludere qualcosa che si trova poco adatto ai propri gusti. Perché infliggersi la sofferenza di leggere un libro brutto? Non a caso chi lavora nelle case editrici – idealizzata meta professionale di tanti lettori – menziona spesso la fatica di dover frequentare tanti manoscritti mediocri o tremendi.
Ci sono lettori che ritengono di non usufruire mai di quel diritto, per un certo senso di autoimposto dovere che li porta sempre ad arrivare all’ultima pagina. Si tratta però, per mia personale esperienza, di un’illusione. Certo alcuni lettori tenderanno a non interrompere un libro più di altri e io stesso, fino a poco tempo fa, mi sarei incluso in questa categoria. Mi sarei spinto fino a dire, perentorio, che non comincio mai un libro senza finirlo. Ma spesso abbiamo una percezione distorta di noi stessi: da quando ho cominciato a tener traccia delle mie letture nella tabella che i lettori più fedeli forse ricorderanno, devo registrare con una certa sorpresa che in tre anni non ho portato a termine circa una lettura su cinque. E i motivi, credo, sono più complessi di quanto ci si potrebbe aspettare.
Per alcune letture del mio elenco, ad esempio, interviene un rinvio temporaneo di qualche titolo che sono fiducioso di riprendere più avanti, oppure si tratta di una lettura non ancora conclusa perché in corso; ma pur scontando le letture multiple e i ragionevoli rinvii so già che non finirò mai diversi titoli della lista.
Non si tratta per forza di brutti libri riconosciuti troppo tardi. Questi ultimi anzi sono casi piuttosto rari: i lettori d’esperienza hanno sviluppato un certo sesto senso, e di solito basta loro sfogliare poche pagine in libreria, o leggere la quarta di copertina, o tentare l’incipit per rendersi conto se quel libro non fa per loro – tema per una prossima uscita: qual è il numero minimo di pagine o addirittura di righe per inquadrare un libro? – sicché i possibili libri sbagliati vengono identificati ancora prima di cominciare. I libri poi sono sorprendentemente omogenei: non ricordo casi, nella mia esperienza, di prime pagine mal scritte che si evolvono poi in grandi capolavori (e viceversa). Il lettore esigente è semplicemente un lettore che ha capito i suoi gusti. Basta un assaggio preliminare per scartare senza rimpianti quello che non fa per noi.
Per paradosso, mi accorgo che è più comune far rientrare tra gli inconclusi i libri molto belli o particolarmente interessanti. Contribuisce, ad esempio, la lunghezza: ci vuole coraggio a cominciare Guerra e pace, ma più ancora ci vuole davvero molto tempo libero. Càpita allora di abbandonare i libri che si trovano profondi o per altri aspetti notevoli, perché in quel momento non si ha modo di dedicare loro l’attenzione che meritano.
Altre volte la colpa è dell’incostanza: la curiosità che aveva portato a scegliere un titolo nel frattempo è passata e quello che sembrava irresistibile in libreria suscita solo un vago interesse quando occhieggia dallo scaffale di casa. Altre volte intervengono circostanze, diciamo così, materiali: il libro è andato perduto in un trasloco o in una riorganizzazione della libreria – tema futuro, la capacità misteriosa dei libri di scomparire senza lasciare traccia – e bisogna rassegnarsi al fatto che potrebbe saltar fuori di nuovo tra anni, oppure mai.
C’è infine l’insidia che viene dall’esperienza. Il lettore accanito si rende presto conto della qualità del libro e ne registra tutte le caratteristiche, come un assaggiatore di vini è in grado di fare articolate descrizioni con appena pochi sorsi. Ciò è vero soprattutto per la narrativa, e meno per i saggi, nei quali l’aspetto informativo è spesso uno stimolo per scoprire che cosa c’è nelle pagine successive.
Ma romanzi e racconti non si leggono per la trama. In essi si cerca un piacere più raffinato e complesso della semplice conoscenza di come andrà a finire, una miscela di atmosfera, stile, psicologia dei personaggi, sguardo sulla realtà e sulla vita. Il lettore capirà presto di che tipo è il libro che ha per le mani, individuerà e imparerà a riconoscere la voce dello scrittore, in poche parole saprà che cosa aspettarsi: altra insidia alla volontà di arrivare all’ultima pagina. Borges ricorda da qualche parte che accettava con piacere inviti a parlare dell’Ulisse di Joyce, libro che non aveva mai concluso: possiamo starne certi che ne parlasse comunque con ammirevole competenza. Nella vita del lettore sono importanti tanto i libri che ha letto quanto quelli di cui non ha mai visto le ultime pagine.
P.S.: Un avviso ai lettori di Incertezze: la prossima settimana sarò in viaggio, per cui anticiperò di una settimana la pausa di fine anno. L’appuntamento è quindi al 7 gennaio del nuovo anno. Buone feste!
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