Nell’ultima puntata ho parlato di un libro mostruoso. Se quello che leggi qui sotto ti piace, potresti inoltrarlo a qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Viviamo, si sa, nell’era dell’economia dell’attenzione: etichetta sintetica per dire che, intorno a noi, c’è pieno di cose che fanno di tutto per distoglierci da quello che stiamo facendo e dedicare loro un poco, appunto, della nostra attenzione. L’esperienza dell’utente pensata da chi ha progettato i nostri telefoni cellulari è architettata intorno alle notifiche e alle applicazioni, ovvero intorno a meccanismi costruiti appositamente per strappare la nostra concentrazione da quello che stavamo facendo, ogni pochi minuti o secondi, con un suono, o una vibrazione, o un’immagine sullo schermo, che suscitino la nostra curiosità di scimmie (un poco) evolute e ci spingano a controllare che cosa c’è di nuovo.
In modo del tutto simile, i siti che utilizziamo più di frequente hanno imparato a sfruttare al meglio i meccanismi chimici del nostro cervello, ad esempio dandoci una minuscola scossa di piacere grazie al rilascio di dopamina quando vediamo un like sotto una frase che abbiamo pubblicato o una foto che abbiamo condiviso. E questo ci porta a farne uso con una certa regolarità: perché dovremmo far senza piccoli momenti gradevoli, se per averli basta prendere in mano il telefono?
Per gli amanti delle notizie o del dibattito, un social network come Twitter dà la possibilità di essere immersi in un flusso infinito di informazioni aggiornate, spesso assai interessanti, quasi sempre gratuite e a nostra immediata disposizione. Facile distrarsi qualche minuto, al lavoro o in un momento morto prima che sia pronta la cena, per leggere un articolo appena uscito, oppure fare un giro tra le foto degli amici, o controllare se abbiamo ricevuto reazioni ai nostri contenuti. E ultimamente, con la fortuna dei podcast e dei nuovi esperimenti con l’audio, l’evoluzione tecnologica si sta spingendo verso la colonizzazione di un senso che finora era stato lasciato un poco più tranquillo, l’udito.
Un aspetto affascinante di questa moltiplicazione di strumenti per occupare il nostro tempo è che tutti sembrano congiurare per rendere la lettura difficile, se non impossibile. La lettura ha bisogno di continuità e concentrazione per un tempo che, per gli standard odierni, è tanto lungo da dare all’atto di leggere un’aura démodé – anche se la soglia minima per una sessione di lettura sensata è forse di qualche decina di minuti o una mezz’ora per volta. E mentre, con fatica, ci ritagliamo quello spazio e quel momento nel corso della giornata, siamo assediati dai dispositivi che ci tirano per la giacchetta, e attirati come Ulisse con le sirene dai meccanismi psicologici che ci vorrebbero distogliere dalla laboriosa meditazione della lettura per darci invece la soddisfazione immediata delle notifiche.
Quando mi metto a leggere, all’inizio, e per un tempo che mi sembra sempre troppo lungo, non riesco ad evitare di guardare lo schermo del mio cellulare ogni pochi secondi. Anche se ho tolto dal telefono tutte le applicazioni strettamente non necessarie e tengo sempre la modalità più silenziosa possibile. Mi ritrovo a lanciare occhiate in continuazione alle cifre dell’ora sullo schermo bloccato del telefono, e il loro restare quasi immutate mi segnalano che controllo più volte ogni minuto. Come un tic nervoso.
A poco a poco, se sono bravo, perdo quell’automatismo dell’occhio saettante del pazzo e riesco a leggere con una certa continuità: ma qualche volta sono stanco, o aspetto qualche comunicazione, oppure mi illudo di avere un motivo per lasciarmi andare alla tentazione. E allora afferro il telefono o apro il computer – altro oggetto da cui è quasi impossibile staccarsi, dopo averci passato tutte le ore lavorative del giorno – e perdo un sacco di tempo facendo cose di cui mi sono dimenticato non appena le ho finite. Assai di rado riesco in gesti di autodisciplina da samurai, come lasciare il telefono in un’altra stanza, o in piccoli miracoli come dimenticarmene del tutto per due ore.
Non voglio fare qui una lode dei bei tempi andati, che di solito hanno l’unico vero pregio di essere, appunto, andati: non è che abbia perso meno tempo giocando al computer, quando i telefoni cellulari non c’erano, né che non abbia trovato, nell’età dell’economia dell’attenzione, una quantità straordinaria di informazioni e di letture interessanti.
Però mi chiedo se la costruzione di un intero mondo di oggetti, programmi, attività, ricompense, prodotti e svaghi centrati esattamente intorno alla premessa di farci saltare dall’uno all’altro ogni pochi secondi – mi accorgo che tendo a concedere a una canzone che non conosco mezzo minuto al massimo prima di cambiare e passare alla successiva: ma come facevo a sentire album interi? – non spinga nella direzione opposta rispetto alla lettura, non sia una congiura – certo inconsapevole, certo non organizzata – contro il libro.
Da un lato, potrebbe rassicurare il fatto che la letteratura contenga tali e tanti tesori da garantirle per sempre un posto nella nostra cultura; dall’altro, però, bisogna anche tener conto del fatto che ci sono intere forme d’arte, come la scultura o il teatro, che hanno avuto secoli di straordinaria centralità e oggi sono – non me ne vogliano gli amanti dell’una e dell’altro – una nicchia per pochi o pochissimi con un certo sentore di estinzione.
Forse è presto per dirlo, ma mi chiedo anche se i tassi di lettura siano destinati a scendere, nel prossimo futuro, a mano a mano che gli strumenti per impadronirsi del nostro tempo aumentano e diventano più raffinati. Magari i romanzi resteranno come un passatempo per originali e un oggetto per studiosi, e la lettura diventerà un’attività di nicchia, un hobby per personaggi bislacchi o un po’ fuori dal tempo, come gli amanti dell’opera lirica o del tiro con l’arco.
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Fortunatamente il mio ‘momento di lettura’ è sempre stato notturno, prima di dormire.
Smartphone in modalità aereo, Mac in studio, da quando leggo sul Kindle pure luce spenta.
Se nessuna delle bimbe si sveglia per farsi accompagnare in bagno ho un’oretta per dedicarmi completamente alla lettura senza distrazioni.
Grazie per questa riflessione molto interessante !