Nella scorsa puntata ho parlato dell’arte della lettura in contemporanea. Se quello che leggi qui sotto ti piace e non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui. E magari consigliarla a qualcuno.
Ho letto Gente di Dublino e non me ne ricordo nulla. O meglio: ricordo più o meno dov’ero quando l’ho letto, e che l’ultimo racconto si intitola I morti e mi sembrò il più bello di tutti. Dopo oltre quindici anni dalla lettura — ma non sono per nulla certo dell’anno preciso — mi è rimasta una vaga impressione che fosse un capolavoro. E questo è tutto.
Mi succede piuttosto spesso che un libro o un autore salti fuori in una conversazione e, insieme all’immediato riconoscimento di un nome noto — fonte, per il lettore accanito, di una soddisfazione da secchione — si spalanchi il vuoto della totale assenza di ricordi od opinioni circostanziate. «L’ho letto, ma non mi ricordo assolutamente nulla», sarebbe in quel caso la risposta più onesta, ma per non sembrare quello che sta facendo finta, oppure per il gusto di partecipare alla conversazione, ricostruisco allora qualche idea rabberciata di che cosa dica e come.
Ma l’esercizio di improvvisazione nasconde in realtà una dimenticanza completa, l’assenza quasi totale di tracce nella memoria, come una pagina scritta a matita cancellata con scrupolo, in cui resta appena qualche segno grigio e i solchi lasciati dalla pressione della punta.
Il primo aspetto curioso è che un libro dimenticato lascia una traccia comunque diversa rispetto a non aver mai preso in mano quel libro. Di Frankenstein di Mary Shelley mi è rimasta tutt’al più una vaga atmosfera: quel poco è comunque assai più reale del nulla che so di Jane Austen, che non ho mai letto.
Quello che mi colpisce di più è che la gran parte del ricordo delle cose che leggiamo è, diciamo così, inconscio. Informazioni di base come la trama e i personaggi sono difficili da tenere a mente e svaniscono quasi del tutto nell’arco di poco tempo, nel mio caso forse un paio d’anni — se guardo alla lista delle letture della mia scorsa estate, mi accorgo di ricordare qualcosa della trama di Anna Karenina di Tolstoj, qualcosa della Certosa di Parma di Stendhal ma nulla o quasi di Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh.
Fatto che trovo piuttosto inquietante, dato che quello di Waugh è un libro che mi è piaciuto moltissimo. Rileggerne la trama, come ho fatto poco prima di scrivere queste righe, è un’esperienza straniante e perfino preoccupante, perché avevo dimenticato intere parti del romanzo, svolte fondamentali, personaggi di primo piano. Almeno nel mio caso, la caratteristica più banale di un libro — la storia che racconta — svanisce quasi subito. L’aspetto più evidente e più superficiale delle opere letterarie sembra essere alla mia memoria, tutto sommato, il meno importante.
Che cosa ricordiamo, dunque? Singole scene, un’immagine, una frase, dettagli, un’atmosfera. In molti casi poi facciamo attenzione e ricordiamo i dettagli che sono già celebri nella critica o per altri motivi. A volte, sospetto, senza neppure rendercene conto. Qualche estate fa ho letto Il grande Gatsby, un capolavoro, e mi è rimasta impressa l’ultima frase: «Così andiamo avanti, barche contro la corrente, respinti senza sosta verso il passato».
La frase ha forse una forza sua propria per restare nella memoria del lettore, e per qualcuno sarà certamente così. Ma nel mio caso mi sono accorto pochi giorni fa che in realtà è citata anche in un episodio della mia serie televisiva preferita, The Wire, durante la seconda stagione. Ho visto la serie molto prima di leggere il libro: chissà se l’impressione che mi ha fatto il finale di Fitzgerald è figlia del mio gusto e quanto invece una traccia inconscia di quella puntata vista anni prima.
Altro aspetto sorprendente è che i libri dimenticati sono in qualche modo collocati in una serie di ampie categorie. Come se fossimo in grado di vederli soltanto con uno zoom molto potente, che permette di ricordare i dettagli, o con un grandangolo. Li classifichiamo per stile (Ritorno a Brideshead usa molte parole ricercate e letterarie, anche se non saprei richiamarne una sola), o per qualità (Horcynus Orca è un capolavoro come l’opera di Kafka o Il grande Gatsby), o ancora per analogia con altri titoli e altri autori (Houellebecq e Palahniuk sono quasi la stessa cosa).
Il luogo mentale in cui li abbiamo posati è spesso l’unica cosa che ci rimane per parlarne a distanza di tempo. Più che una collezione di oggetti, la nostra biblioteca è una grande mappa a bassa risoluzione, basata su una sorta di raccolta di etichette o di frammenti. Una collezione di libri fatti per lo più di pagine bianche o di dorsi sfocati. La scomparsa dei libri è inevitabile, il lettore accanito si accontenta di echi lontani.
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Che bello ritrovarsi nella stessa rassicurante mediocrità