Nella scorsa puntata ho parlato delle mie prime letture davvero importanti. Bentornati ai vecchi e benvenuti ai nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato, cliccando qui.
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Alla scoperta di Jorge Luis Borges a cui accennavo la settimana scorsa seguì qualche anno dopo la fortuna dell’incontro con il mio amico Marcos, argentino, compagno di studi e per caso vicino di stanza in collegio. La nostra prima conversazione verté intorno al riscaldamento, assente nella struttura decrepita, per la sfortuna di chi proveniva da un altro emisfero e dunque da un’altra stagione; nella seconda sfruttai l’unica cosa che sapevo allora del suo Paese, e cioè appunto Borges, fiero di poter far sfoggio di cultura. Scoprendo di lì a poco che per Marcos, come credo per numerosi altri argentini, JLB è un personaggio piuttosto antipatico, verso cui si hanno sentimenti contrastanti: certo tra i massimi rappresentanti delle patrie lettere, ma anche membro di quella borghesia esterofila, di simpatie politiche destrorse e conservatrici, che tuttora forma la classe dirigente non eccelsa di molti Paesi sudamericani.
E proprio per mostrarmi che la letteratura latinoamericana era molto altro, se non soprattutto altro, Marcos mi introdusse a un mondo di scoperte letterarie. Ancora ne ricordo alcune come straordinarie, anche se da molti anni non li ho ripresi in mano: Pedro Páramo di Juan Rulfo (Einaudi, 2014, ed. or. 1955, 146 pp.), Gli addii di Juan Carlos Onetti (Edizioni Sur, 2015, ed. or. 1954, 131 pp.), Respirazione artificiale di Ricardo Piglia (Edizioni Sur, 2012, ed. or. 1980, 277 pp.). Anche molti racconti, di cui Marcos era un appassionato: La pianura in fiamme di Rulfo (Einaudi, 2012, ed. or. 1953, 166 pp.), Julio Cortázar, Mario Benedetti.
All’Università di Pisa c’era un corso di letteratura ispanoamericana, che frequentai un paio di anni più tardi. Un corso bellissimo, rigoroso, completo, con un sacco di letture e dispense e appunti da prendere, a cui partecipavano forse cinque o sei persone in una stanzetta di un dipartimento minuscolo: uno di quei casi in cui l’università italiana dà o dava il meglio di sé, permettendo a grandi studiosi di starsene tranquilli e quasi nascosti a coltivare angoli della conoscenza poco battuti.
Il corso lo teneva Tommaso Scarano, che già allora era impegnato nella grande opera di riedizione integrale delle opere di Borges per Adelphi, cominciata forse vent’anni fa e credo ancora in corso. Fu uno dei più interessanti del mio quinquennio universitario, che Scarano conduceva senza sconti per gli studenti – in programma c’era un manuale piuttosto ostico, zeppo di nomi – ma anche con un certo distacco, impegnato com’era nella pluridecennale impresa borgesiana.
Il percorso mi è tornato in mente qualche giorno fa, mentre leggevo una delle ultime raccolte di Silvina Ocampo, E così via (ed. or. 1987; non riesco a ritrovarla sul sito di Einaudi). Ocampo era moglie di Adolfo Bioy Casares, a lungo collaboratore di Borges, e lei stessa coautrice, insieme agli altri due, della celebre Antologia della letteratura fantastica. I suoi racconti sono strani, spesso surreali, sempre oscuri e inquietanti. Le persone si confondono, non è chiaro quanti siano né esattamente cosa facciano; un po’ troppo per i miei gusti, perché l’effetto è qualche volta artificioso, ma riconosco di non esserne il lettore ideale.
Anche in Ocampo si ritrovano alcune caratteristiche, credo, della letteratura in spagnolo del Sudamerica: l’aleggiare del potere percepito come incomprensibile o ostile – c’è sempre una guerra o un’emergenza politica sullo sfondo – e con esso della violenza, di frequente rimossa, ma lì sullo sfondo, pronta a realizzarsi. E ci sono anche gli spazi del Sudamerica, così spesso misteriosi, e la sua natura ostica, che sembra assediare le città, i paesi, le vite delle persone.
Chissà se oggi è ancora così, ma fino a qualche decennio fa i libri del Sudamerica avevano la loro cifra riconoscibile, una voce in comune che mi è parso di ritrovare, con tutte le differenze del caso, anche nei più celebri Marquez o Bolaño. Una voce che mi suona tuttora cara per la lunga frequentazione, il promemoria di un’amicizia, il ricordo di un bel corso all’università. Ci sono state e ci saranno di certo anche altre scoperte, di altri mondi letterari con i loro tratti: ma con il Sudamerica c’è sempre un rapporto speciale. Ciascun lettore avrà i suoi luoghi, le sue letterature: la geografia della lettura è sempre anche una geografia dell’anima.
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