Nella scorsa puntata ho parlato dell’opera seconda di Bernardo Zannoni, che si intitola 25 (proprio il numero). Se siete nuovi qui, ecco una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che trovi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato, cliccando qui.
L’altro giorno commentavo con l’amico Stefano la nostra partecipazione, lo scorso fine settimana, a un evento culturale. Si celebrava l’anniversario di un progetto letterario di una certa rilevanza nel panorama nostrano: una rivista tuttora attiva che quindici o vent’anni fa era un punto di riferimento, in grado non solo di lanciare e promuovere nuovi autori, ma anche di portare avanti un discorso culturale autonomo, con la letteratura al centro, indipendente – almeno a quanto era dato vedere e capire – da influenze esterne e di mercato.
Gli elementi sembravano tutti giusti. A cominciare dal luogo scelto per l’evento, un piccolo spazio in un quartiere di recente sulla cresta dell’onda, meta di giovani e “creativi”. I temi trattati erano di grande attualità, come i cambiamenti degli spazi urbani e l’intelligenza artificiale. Il progetto poi è ancora vivo e vegeto, pubblica con regolarità e non di rado articoli di buona qualità.
Nonostante questo, l’evento è andato sostanzialmente deserto. Al di fuori dei membri del progetto e dei relatori, durante la prima giornata – non ho potuto prender parte alla seconda – il pubblico presente perché interessato, senza un legame diretto con le persone sul palco, si contava sulle dita di due mani e forse di una sola.
Davanti a questo fatto, per me piuttosto stupefacente, si possono fare diverse considerazioni. La più evidente è che non si trattava di un evento alla moda, di tendenza, cool. Il progetto ha una presenza scarsa (anche se non assente) sui social network, non si identifica con nessuna personalità di ampio e riconoscibile successo (pur essendovi legati autori e critici di una certa rilevanza), non ha mai prodotto contenuti “virali”. In altre parole, aveva un limitato richiamo per un pubblico giovane e molto giovane o particolarmente legato alle mode del momento.
Ma il progetto è animato da esponenti di una generazione precedente a quella dei social network, da quaranta-cinquantenni che dovrebbero avere un appeal non soltanto in Rete. Eppure il suo pubblico non c’era, o almeno non ha sentito un interesse o un coinvolgimento nel progetto tale da uscire di casa in un fine settimana di ottobre.
Certo, stiamo pur sempre parlando di un progetto letterario, che pubblica racconti, poesie, piccoli saggi critici. E sarà pur vero che, come mi ricorda il mio amico Dario, oggi in Italia non legge più nessuno: ma i festival letterari sono strapieni, Mantova viene invasa ogni inizio di settembre, Ivrea Pordenone Torino e chissà quante altre attirano folle che si presentano pur sempre per sentire parlare di libri o addirittura comprarli, al di là della scusa per le gite fuori porta che pure avrà il suo effetto. Perché allora un evento dove si fa appena un passo in più, si passa dall’intervista con l’autore alla riflessione su un tema culturale, va deserto una volta che manca la dimensione turistica, le masse virtuali, le celebrità?
Voi direte che mi sono risposto da solo e che, tolto il turismo, i profili social e i grandi nomi, sono scomparsi anche gli elementi che servono al successo. Però io non mi aspettavo venticinquemila persone: me ne sarebbero bastate cento, o cinquanta, e cinque o sei degli hipster dall’abbigliamento estroso e dalla professione indecifrabile che riempivano i tavolini degli aperitivi a cinquecento metri di distanza. Nulla di tutto questo è accaduto.
Se però la veneranda rivista letteraria non ha un pubblico reale, chi ce l’ha? Dove sono, in altre parole, i luoghi di elaborazione della cultura letteraria, ovvero i progetti in grado non soltanto di creare delle idee, ma anche di ottenere un’influenza, una ricaduta per quelle idee? Forse, mi rispondo, quei luoghi non esistono più. Al di là di agglomerazioni estemporanee intorno a un premio, a un festival, a un circolo di amici uniti da qualche comunanza editoriale o politica, l’interesse o la capacità di portare avanti un discorso che identifichi tratti comuni, spieghi in che cosa si crede, porti avanti un’idea di letteratura semplicemente non ci sono.
L’atomizzazione della nostra società è nota da tempo in molti campi, dalla frammentazione dei pubblici dei media alla scomparsa dei partiti di massa. Nella cultura letteraria sembra che il processo sia arrivato persino più in là. Gli oratori non hanno pubblico, gli spettacoli si tengono in sale deserte, i discorsi risuonano nel vuoto?
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