Nella scorsa puntata ho parlato della possibilità di insegnare l’amore per la lettura. Bentornati ai vecchi e benvenuti ai nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, condividilo con qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
La scorsa settimana si parlava dell’amore per la lettura e di come questo non possa essere insegnato. Il lettore Maurizio mi ha scritto per manifestare il suo dissenso, citando l’opinione di un amico secondo cui «il gusto non è una cosa che si ha, il gusto è una cosa che si costruisce». Dunque, parafraso io, la capacità di apprezzare un’opera letteraria non è una qualità innata e discesa dall’alto, che fatalmente si possiede o non si possiede, ma un’abilità che si può acquisire, con lo studio e la pratica.
Colgo il punto dell’obiezione. Rimango convinto che la passione per la lettura, intesa come vivo e personale piacere nel dedicarsi a quell’attività, sia in larga parte casuale e inesplicabile, nel senso che può nascere o meno senza che ne esista un metodo di insegnamento davvero efficace. Lo stesso accade peraltro per la passione per la musica, o per uno sport, o per il lavoro: se per un’attività non si prova intima soddisfazione, questa non può essere indotta, come insegnano generazioni di ragazzine e ragazzini obbligati per anni a suonare il pianoforte o a praticare la danza, che smettono senza rimpianti non appena i genitori allentano la presa.
Ciò non vuol dire però che l’esposizione, per così dire, non giochi un ruolo, e che qualcosa non si possa insegnare. Crescere in una casa piena di libri e in cui la cultura è un valore, oppure assistere alle lezioni di un insegnante capace, possono creare le condizioni perché nasca l’amore per la lettura, e persino un certo livello di costrizione potrà aiutare a far scattare la scintilla, come ci sono ragazzi che si appassionano davvero allo studio del pianoforte dopo lunga pratica controvoglia. Ma non esiste un automatismo, né la certezza che le condizioni ambientali più favorevoli produrranno lettori (o musicisti) appassionati.
La metaforica scintilla, una volta scattata, va anche alimentata. La passione è il primo passo: non coincide con il gusto, ovvero con la capacità di valutare correttamente il valore estetico di un’opera. Si può amare la lettura tutta la vita e leggere soltanto, con rispetto parlando, schifezze.
Mi rendo conto che qui si apre la porta a una contraddizione: se il valore estetico di un’opera è una qualità tutto sommato inesplicabile, e se ne può dire, come del cielo lombardo del Manzoni (devo il collegamento al lettore Agostino), soltanto «così bello quand’è bello», come si fa a ritenere un giudizio estetico sbagliato? Se a qualcuno piace Tom Clancy – se qualcuno vi ritrova un valore estetico – come si può sindacare? In altre parole: è possibile una valutazione oggettiva (una critica) di una qualità soggettiva (della bellezza)?
Non ho una risposta esatta e lascio per ora la domanda aperta. Mi limito per il momento a un atto di fede: sì, la critica della bellezza è possibile, il gusto esiste, e lo si può avere come non avere. Altrimenti si cade in quel terribile relativismo per cui l’unico modo di misurare il successo di un’opera è il numero delle sue copie vendute, una prospettiva davanti alla quale rifiuto di arrendermi.
E il gusto, allora, questo gusto di cui abbiamo appena accettato l’esistenza con atto di fede, si può insegnare? Onestamente non ne sono certo (c’è un motivo se questa newsletter si chiama Incertezze). Da un lato credo che una condizione necessaria sia la pratica: il bravo lettore è un lettore che si è allenato e fa molta pratica, più o meno come uno sportivo.
Ma è necessario anche allenarsi bene. Il lettore critico deve aver interesse e curiosità di sviluppare il proprio gusto. Molti lettori non sono per forza interessati: se la lettura è soltanto lo svago estivo per occupare il tempo sotto il proverbiale ombrellone, non fa poi troppa differenza con che cosa si tiene occupata la mente, e per quello basteranno anche i bestseller del momento, più o meno come quelle disgraziate culture che non hanno un particolare gusto per il cibo e intendono i pasti solo come la necessità di nutrirsi. Le trappole per turisti sono piene non perché la gente adori le pizze surgelate, ma perché per molti mangiare una pizza surgelata o quella di Cracco non fa poi troppa differenza.
A questo allenamento, gli strumenti forniti dalla scuola potranno allora essere utili. Riconoscere le figure retoriche e del suono, accorgersi della struttura delle rime in una poesia, cogliere i collegamenti con altre opere. Capire insomma come è fatta, come funziona un’opera, saperne descrivere le qualità esteriori sono parti importanti del gusto letterario. Rime e figure sono aspetti banali, direte voi, ma finché non si dà un nome alle cose, quelle rischiano di non esistere. Certo che un’allitterazione è qualcosa di evidente: ma finché qualcuno non ce l’ha indicata e ci ha detto che esiste, possiamo averne lette centinaia senza esserci fermati un istante a riconoscerle. Le parole creano le cose.
Dati gli strumenti e data la pratica, allora, il gusto viene da sé? Non credo. Proprio come la bellezza di un’opera è qualcosa di non interamente spiegabile razionalmente, anche la capacità di apprezzarla è impossibile da insegnare del tutto. Si possono creare le condizioni per capire qualcosa delle opere letterarie: leggere molto, leggere bene, imparare ad analizzare un testo e il suo stile, provare insomma a «costruire» il gusto. Tutto ciò non si può eliminare, ma neppure questo è garanzia di successo.
La bellezza di un’opera d’arte mantiene un fondo di mistero. Ci si può preparare al meglio per l’incontro, ma il rischio rimane, e non si può eliminare, che al momento del dunque quella bellezza ci passi a fianco senza toccarci, occasione perduta.
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