Agamben, Barbero, Cacciari e le due culture
Difficile fare i conti con la realizzazione dell’irrilevanza
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Quando studiavo all’università mi è capitato di imbattermi in un libro di C.P. Snow intitolato Le due culture. Si è sviluppata una frattura profonda, diceva Snow, tra gli «intellettuali letterari» (literary intellectuals) e gli «scienziati naturali» (natural scientists), tra le due metà della cultura occidentale: i rapporti sono improntati alla reciproca diffidenza e a una profonda incomprensione che in sostanza impedisce di trovare le soluzioni migliori ai problemi che la società deve affrontare. Chi dovrebbe parlarsi per risolverli preferisce restare chiuso al dialogo, scettico e sospettoso.
Snow scriveva alla fine degli anni Cinquanta e parlava con cognizione di causa: aveva avuto una buona carriera scientifica come chimico e lavorato nell’industria privata, ma anche scritto romanzi di successo. Il suo libro ebbe molto successo e aprì un dibattito assai ricco che non ripercorro qui: lo cito piuttosto perché il suo intervento mi è tornato in mente a proposito di una serie di prese di posizioni recenti da parte di celebri intellettuali italiani.
Parlo della lettera di Giorgio Agamben e Massimo Cacciari sul vaccino e il Green pass, pubblicata a fine luglio, e del più recente appello sottoscritto da alcuni accademici sullo stesso tema, diventato celebre perché tra i firmatari c’è anche lo storico e divulgatore Alessandro Barbero. Al di là del merito della questione, il fatto che personaggi di primo piano della cultura italiana abbiano sposato tesi discutibili e radicali contro le posizioni della maggior parte dell’informazione e della politica mi sembra il sintomo di un problema più profondo: un’evoluzione, o meglio un peggioramento, della frattura di cui parlava Snow.
Il malessere odierno degli intellettuali, sospetto, discende in larga parte dalla loro irrilevanza nel dibattito contemporaneo. Infatti, se Snow lamentava la presenza di una frattura tra scienziati e umanisti, noi a distanza di qualche decennio dobbiamo registrare la vittoria schiacciante di una parte – quella scientifica – che è diventata l’unica autorità titolata a guidare il dibattito e, ancora di più, ad analizzare la realtà; l’unica voce ascoltata quando si tratta di prendere decisioni e guidare le politiche pubbliche; l’unico punto di riferimento scelto dai media, ma anche dal pubblico, per capire dove stiamo andando e che cosa dobbiamo fare in risposta a una situazione di emergenza che ha un impatto profondo su tutto il nostro vivere civile.
La voce degli intellettuali non scienziati – i filosofi, gli storici, gli scrittori – è in pratica scomparsa dal dibattito pubblico. Dopo l’inizio della pandemia, le trasmissioni televisive si sono a poco a poco riempite di rappresentanti di medici, virologi, epidemiologi. Nessuno ha pensato di chiamare i filosofi o, se lo ha fatto, il loro contributo è rimasto marginale, lontano dalle prime pagine dei giornali. Non siamo più di fronte a due mondi che si parlavano poco, come poteva essere alla fine degli anni Cinquanta: c’è un mondo solo che parla e l’altro ridotto all’afonia.
Per chi è rimasto senza voce, non deve essere facile adattarsi a questa nuova realtà. Dico “nuova” perché fino a pochi decenni fa c’erano diversi intellettuali che venivano dal mondo umanistico che potevano ancora guidare il dibattito pubblico e in qualche caso a dettarne l’agenda: pensiamo a Pasolini negli anni Settanta o a Sciascia negli anni Ottanta, e in misura minore a Umberto Eco, forse l’ultimo uomo di cultura umanistica in grado di lasciare un segno nel contesto italiano.
La perdita di rilevanza da parte della figura dell’intellettuale umanista dev’essere una realizzazione traumatica per chi la subisce: non è facile appartenere alla prima generazione di uomini di lettere che, per l’opinione pubblica, non contano nulla. L’unica possibile eccezione è quella di Roberto Saviano, che in effetti è riuscito a portare all’attenzione di tutto il Paese un problema fino ad allora ignorato o trascurato, (quello della camorra): ma si tratta in quel caso di un’operazione in sostanza giornalistica, basata sulla scoperta e presentazione di fatti più che sull’analisi culturale della contemporaneità – come potevano essere gli Scritti corsari o la presa di posizione di Sciascia sui “professionisti dell’antimafia”.
E davanti alla realizzazione dell’irrilevanza, si capisce la reazione del rifiuto della posizione dominante – quella della scienza – per scegliersi invece la nicchia della resistenza e della protesta. Una reazione che si basa però su argomenti arzigogolati (Barbero che sostiene di essere contrario al Green pass, ma favorevole all’obbligo vaccinale) o deboli (Agamben e Cacciari che si lanciano in paragoni con l’Unione Sovietica) o basati su informazione di scarsa qualità (di nuovo Agamben e Cacciari che tirano fuori la storia del vaccino “sperimentale”). La debolezza delle argomentazioni retoriche e fattuali dietro queste prese di posizione sembrano un partito preso dettato dalla marginalizzazione più che da una riflessione consapevole: anche due tra i maggiori filosofi italiani, insomma, e uno tra i maggiori divulgatori storici si possono sentire esclusi e ignorati, non diversamente dagli elettori che si ribellano contro le élite e contro una politica percepita come distante e sorda alle loro istanze, finendo per rifugiarsi nel voto populista o di protesta.
D’altra parte, l’assedio della scienza al mondo umanistico è spietato. Sempre più dipartimenti e corsi di laurea infilano “scienza” o “tecnica” dove proprio non c’entrano nulla (che cosa saranno mai le “scienze dell’antichità”?) e l’ultimo dei virologi, sull’emergenza del momento, ha una tribuna più in vista del maggior esperto di antropologia o di storia contemporanea. Senz’altro avrebbero cose da insegnarci: però non li ascoltiamo, non pensiamo neppure di rivolgerci a loro.
Vediamo così un sacco di intellettuali umanisti andare vicini, se non proprio entrare, nel mondo delle teorie del complotto o dell’estremismo intransigente: come a voler ritagliarsi uno spazio che è loro proprio, una ridotta in cui si possono illudere di aver davvero capito come va il mondo, dove sta la verità. Sono, da un certo punto di vista, dei privilegiati, con cattedre universitarie, centri di ricerca, il potere di decidere qualche carriera o di gestire qualche finanziamento: il loro disagio non è figlio di una marginalità economica o sociale, quanto culturale e del pensiero. Dispiace vederli così e non si vede all’orizzonte come possano uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati.
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Commento lucido, eccellente. Su questo argomento segnalo anche articolo di Odifreddi che fa a pezzi la presunzione umanistica di Cacciari e, pace all'anima sua, di Galasso
Temo che non si possa ridurre l'attuale non avvincente dibattito sulla frattura tra cultura umanistica e scientifica alla sola frustrazione per la perdita di rilevanza da parte della figura dell’intellettuale umanista. Nel nostro paese la competenza matematica è fragile, per la fisica prevale una inquieta ma meravigliata curiosità mentre per la biologia vige un fiero analfabetismo. In un recente articolo (La Repubblica 21 dicembre: Le sciocchezze dei filosofi) Tito Boeri e Roberto Perotti attribuiscono l'operazione di controinformazione "rigorosa e scientifica" di alcuni noti intellettuali come Cacciari ed Agamben che, "approfittando di una notorietà acquisita in altri campi, diffondono messaggi sciocchi e irresponsabili" ad una scarsa dimestichezza con la statistica. Purtroppo non è l'unico limite. I portavoce della Commissione DuPre, Dubbio e Precauzione, pur citando con distaccato sussiego singoli articoli comparsi su Lancet o sul New England Journal of Medicine per sostenere le proprie tesi, non possiedono gli strumenti per comprendere e valutare un articolo scientifico in campo medico-biologico. Vale per l'Ipotesi iniziale ma ancor più per l'adeguatezza di Materiali e Metodi, certamente per l'analisi statistica utilizzata, spesso molto sofisticata. Ritengo altamente improbabile che essi possano seguire la successiva Discussione, che fa riferimento ad altri studi o principi teorici e valutare infine correttamente le Conclusioni. Certamente questi intellettuali non hanno né il tempo né l'interesse a confrontare articoli con conclusioni contrastanti. In parole povere, parlano a vanvera. Più nello specifico, la ricerca scientifica si basa in larga misura sul calcolo della verosimiglianza delle cause di un determinato fenomeno, espressa nell’unico modo possibile, vale a dire in termini di probabilità. Le conoscenze acquisite aprono il campo a nuove ipotesi da verificare o falsificare: la scienza è un continuo divenire. Questo rende problematico il dialogo con una cultura umanistica che ha da tempo imboccato la strada del principio di autorità, una delle rovine della cultura umanistica italiana, sottolinea Boeri.
Va detto che l'incomunicabilità tra culture è unidirezionale: autorevoli cultori di Neuroscienze (AR Damasio) mettono Cartesio e Spinoza nel titolo dei loro libri, ricercatori di fisica con piacevoli doti divulgative come Carlo Rovelli ci parlano delle implicazioni filosofiche delle scoperte scientifiche e gli esempi possono continuare all'infinito. Di più, nel campo della biologia e non solo, accade che i ricercatori, consci delle implicazioni etiche delle loro scoperte (un esempio per tutti: l’ l'editing genetico CRISPR) sollecitino l'intervento di chi con le problematiche proprie del rapporto Libertà e Morale ha specifica dimestichezza, per lo più senza ricevere risposta.
Esistono inoltre discipline ibride, al confine ad esempio tra scienza e psicologia, come la psicologia evoluzionistica, le neuroscienze o la genetica comportamentale; sono nate nuove figure di ricercatore nel campo della biongegneria, mentre teorie “trasversali”, come la teoria dei sistemi complessi, possono descrivere tanto sistemi fisici che biologici o sociali.
La pandemia ha evidenziato spietatamente l'inadeguatezza degli intellettuali "non scienziati", fino a ieri religiosamente ascoltati. La reazione è l'esibita diffidenza che sconfina nell'astio per la cultura scientifica e le sue implicazioni pratiche nel contenimento del Covid 19, rifugiandosi in teorie complottiste su presunte violazioni della Libertà individuale, della Costituzione, delle Istituzioni. Nel totale disinteresse per gli effetti della malattia su tutti gli aspetti della realtà individuale e sociale.
Guido Marcer