Nella scorsa puntata, l’ultima prima della pausa di agosto, ho parlato della Normale: il pezzo ha avuto fortuna ed è stato ripreso anche dal Post. Benvenuti a tutte le nuove iscritte e i nuovi iscritti: potete trovare qui una presentazione mia e dei temi di questa newsletter. Se quello che leggi qui sotto ti piace, inoltralo a qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Ho letto il saggio Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura di Walter Siti, pubblicato pochi mesi fa (a maggio 2021) da Rizzoli. Siti è uno dei più importanti scrittori italiani, stando ai premi e alla carriera: però, come narratore, la sua parabola mi sembra piuttosto discendente, e dopo un grande romanzo – Scuola di nudo, uscito nel 1994 – ho trovato quelli successivi sempre meno ispirati.
Mi pare semmai che la sua capacità di osservazione e commento della realtà, da diversi anni – fin dal suo bel reportage da Dubai del 2009, Il canto del diavolo – si esprima al meglio nella saggistica e nel reportage giornalistico.
Contro l’impegno conferma questa impressione. È in sostanza una raccolta di interventi apparsi altrove, scritti e argomentati con cultura e grande acume, alla cui base sta una sorta di reazione del vecchio letterato (Siti è stato a lungo professore di letteratura italiana) a quella che gli pare una deriva della produzione letteraria: quella dei libri impegnati, concentrati per di più sui temi del dibattito del momento. Scrive Siti:
La versione oggi prevalente dell’engagement punta su un contenutismo tanto orientato alla cronaca quanto angusto, con temi che non è difficile elencare: migranti, vari tipi di diversità, malattie rare, orgoglio femminile, olocausto, bambini in guerra, insegnanti eroici, giornalisti o avvocati in lotta col Potere, criminalità organizzata, minoranze etniche.
L’elenco è un po’ scricchiolante (l’Olocausto è un tema «orientato alla cronaca» e «angusto»?) e in tutto il libro il bersaglio polemico non è sempre chiaro. A volte ce la si prende con un linguaggio troppo uniforme e senza stile, la “lingua degli editor”; altre con la mancata contestualizzazione delle opere del passato; altre ancora con l’impegno politico troppo esibito o il femminismo troppo intransigente. Siti scrive troppo bene perché questa indeterminatezza dia fastidio, e su ogni tema ha cose molto intelligenti da dire, ma rimane il dubbio su quale sia esattamente l’aspetto della letteratura contemporanea che lo convince meno.
Si sente poi sullo sfondo il dibattito sul nuovo “puritanesimo del pensiero”, la cancel culture, gli eccessi veri o presunti del politicamente corretto: insomma il tentativo di introdurre nuove norme e nuovi parametri per giudicare le opere letterarie, ma anche le posizioni pubbliche degli intellettuali. Siti ci si deve sentire a disagio, anche se non prende mai di petto, mi sembra, alcune delle questioni più calde di questi ultimi anni (che cosa deve fare il linguaggio per adattarsi a una nuova sensibilità, ad esempio? e qual è il ruolo pubblico che dovrebbe avere chi scrive, se ne deve avere uno?).
Siti fa anche diversi nomi. Tra gli autori italiani citati ci sono Roberto Saviano, Michela Murgia e Gianrico Carofiglio, a ciascuno dei quali vengono dedicate diverse pagine di recensione e commento. Il filo conduttore è che l’approccio impegnato che rappresentano sia ingenuo e, peggio ancora, travisi il vero ruolo e la vera natura della letteratura. L’impegno, con la sua volontà di individuare buoni e cattivi, la promozione di valori positivi, la spinta a cambiare le cose seguendo un’agenda ben precisa, è l’esatto contrario della missione letteraria secondo Siti: che è quella di «farci dubitare di qualunque verità» (p. 130), essere ambigua e inaffidabile come è la nostra psiche, mettere in dubbio le certezze piuttosto che confermarle.
Sono assolutamente d’accordo sui limiti dell’impegno che elenca Siti, anche se sospetto che lo scrittore abbia voluto giocare facile. Si è scelto infatti come bersagli polemici ed esemplari un giallista dalla lingua scorrevole e dai libri piacevolmente inoffensivi (Carofiglio) e un autore di meritatissima fama internazionale per le sue coraggiose denunce, ma di qualità letteraria davvero scarsa (Saviano; purtroppo non conosco i libri di Michela Murgia).
Certo, è semplice prendersela con scrittori non eccelsi, o con opinionisti un po’ ottusi, per dimostrare che il loro tipo di impegno ha il fiato corto. Con avversari così, è chiaro che Siti ha gioco facile a mostrare che «nei classici non è difficile rintracciare posizioni razziste, misogine, omofobe, antisemite, classiste; ma anche, perché no?, elogi della tirannia, della violenza, dell’omicidio, dell’incesto, di ogni genere d’oscenità e perversione» (p. 8). Segna un gol a porta vuota quando elenca qualche presa di posizione del tipo di chi se l’è presa con Arancia meccanica perché violento, oppure con Gli aristogatti perché razzista: ma quanto è rilevante, quanto è importante parlare di questi estremi, peraltro in Italia interamente di importazione?
Il problema di Contro l’impegno è semmai che Siti ha un’idea della letteratura assai precisa e, temo, ristretta. Incidentalmente, è un’idea di letteratura che si trova agli antipodi rispetto a quella di Saviano o Carofiglio: ma gli scivoloni di questi ultimi non rende per forza buona la posizione opposta.
Per Siti, infatti, i libri devono prima di tutto andare a scavare nel torbido:
La letteratura cambia davvero le cose quando urta contro la propria impotenza, alleandosi a quei fondamentali temi umani che gli “esercenti di questa Terra” (politici, industriali, opinion makers) trascurano e rimuovono: la depressione, la noia, la convinzione che nulla abbia un senso, il lasciar perdere, il desiderio di schiavitù, il rancore, l’inconcludenza, la stupidera – il basso continuo della miseria umana (p. 184)
Oppure, più sinteticamente nella stessa pagina: «Solo quando fa male, la letteratura può davvero essere utile». Bisogna insomma parlare di cose sgradevoli, del brutto e dello sporco, delle grandi e piccole malvagità e miserie della vita (come, sia detto per inciso, Siti fa in gran parte della sua opera letteraria).
Si tratta però di una visione ristretta, un po’ deprimente e parecchio discutibile di letteratura. Per prima cosa, ci sono grandi scrittori che hanno scritto romanzi celeberrimi e in cui l’impegno era militante, evidente, senza compromessi. Non sono molti, ma ci sono, e non di rado sono nomi di primissimo piano: basti pensare a George Orwell o a Primo Levi. In entrambi i casi, la divisione del mondo in buoni e cattivi è netta, il giudizio morale senza scampo e la dimensione di impegno civile difficile da ignorare.
Ma ci si può spingere più in là. La valutazione della bontà di un’opera letteraria prescinde del tutto dalla sua dimensione morale, così come prescinde dalle opinioni politiche degli autori, dalle motivazioni per cui è stata scritta. Non bisogna per forza andare a scavare nelle bassezze e nelle miserie (un programma che riflette una certa visione romantica della letteratura). Proviamo a pensare agli esercizi intellettuali di Borges o all’esuberanza vitalistica di Whitman o ai romanzi di avventura di Stevenson o alla poesia epica: interi generi, intere epoche che scavano ben poco nel torbido e fanno assai poco male, per riprendere la formula di Siti.
Il grande mistero della letteratura è che, al di fuori del suo valore estetico – della sua bellezza – non c’è quasi nessun altro parametro normativo che può aiutare a definirne il valore. Non deve essere nulla: né impegnata, né disimpegnata, né inoffensiva né violenta, né fine a sé stessa né a tesi. Certo, se ci si occupa di brutti libri, che pure si pubblicano a centinaia, si potrà ritrovare qualsiasi stortura, incluso l’impegno asfittico e censorio contro cui se la prende Siti nel suo libro intelligente, colto, ben scritto. Ma vale la pena andare in cerca di cose più belle.