La scorsa settimana ho parlato dei libri e dei luoghi. Un benvenuto a nuove iscritte e nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, inoltralo a qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
È facile trovare gli argomenti per spiegare perché un libro non vale molto, ma è molto difficile dare un’idea chiara del perché un libro sia davvero bello. Lo scorso dicembre, complice un anniversario (il ventennale della morte), sono usciti diversi articoli sullo scrittore tedesco W.G. Sebald, che già da tempo aveva un seguito significativo di lettori affezionati. Qualche settimana dopo Natale ritrovavo ancora il nome di Sebald da più parti e mi dicevo che forse sarebbe stato il caso di approfondire, salvo accorgermi che mia madre, come regalo natalizio, mi aveva dato con gesto di prescienza proprio Gli anelli di Saturno (pubblicato in Italia da Adelphi).
Ho già ricordato come gli autori di moda mi causino una certa diffidenza, che mi tiene alla larga da loro per diverso tempo, finché la polvere, per così dire, non si è posata; anche perché assai di frequente i libri di recente successo mi hanno causato delusioni. Non vorrei suonare come un passatista, ma una buona regola potrebbe recitare che solo se un libro è ancora citato con ammirazione dopo trent’anni – senza orpelli che dovrebbero mettere in guardia, come «ha colto lo spirito della sua epoca», che spesso sta per «è invecchiato proprio male» – allora si può andare davvero sul sicuro.
Con Gli anelli di Saturno siamo ai limiti di quel confine temporale, visto che la prima edizione è del 1995. Ma sono stato fortunato, perché mi sono ritrovato a leggere un libro bellissimo (aggettivo desueto nell’attuale discorso sulla letteratura: bisognerà tornarci). E tanto entusiasta sono rimasto di Sebald che ho proseguito il percorso con Austerlitz, romanzo pubblicato appena qualche mese prima della morte dell’autore nel 2001 (in Italia da Adelphi).
Perché Sebald è un grande scrittore? Per prima cosa, ha molti tratti comuni alla letteratura contemporanea, di cui ci siamo occupati diverse volte qui: il labile confine tra romanzo e saggio – aneddoti e curiosità storiche sono frequenti e anzi spesso sono la spina dorsale dei suoi libri – così come tra la scrittura e gli altri mezzi d’espressione artistica (Sebald inframmezza i suoi testi di fotografie); oppure l’io narrante in primo piano, con ampio spazio per l’autobiografia (Gli anelli di Saturno racconta un viaggio fatto dall’autore in prima persona). Ma se queste caratteristiche risultano tanto spesso fastidiose e autoreferenziali in tanti scrittori contemporanei, in Sebald invece sono presenti nella giusta misura, a servizio di un’idea di libro e di letteratura coerente: in una parola, sono necessarie.
Certo il lettore può trovarsi spaesato davanti a molte pagine di divagazioni sul Palazzo di giustizia di Bruxelles o sulla storia del baco da seta. I libri di Sebald sono tenuti insieme da un filo esilissimo, quasi privi di trama e di personaggi. Ma Sebald padroneggia benissimo il ritmo: sa quando è il momento di infilare una sentenza filosofica, un aneddoto stravagante, un termine curioso. Se anche la sua prosa procede lenta, non risulta mai noiosa.
Semplicemente, e misteriosamente, Sebald è un grande scrittore perché è un piacere da leggere. La bellezza dei suoi libri va oltre la descrizione analitica delle loro caratteristiche. Come tutti i grandi libri, Sebald è come una serata in compagnia di persone a cui si vuole bene, che quando finisce si vorrebbe sempre che fosse durata un po’ di più.
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Tutto molto vero: anch’io ho letto Austerlitz solo di recente e mi sono trovato in difficoltà di fronte a gente che mi chiedeva: “ok, è un grande libro, ma perché?”.