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Ma che cosa lavoriamo a fare? Domanda che si saranno posti tutti almeno una volta, tanto più se abitanti di quelle grandi metropoli, come Milano, in cui il lavoro è idolo indiscusso: da praticare rigorosamente per ogni ora di veglia del giorno e finché le forze animano il corpo. Il lettore accanito rischia di sentirsi in colpa, se finite le ore contrattuali si dedica per qualche tempo alla lettura. E a confermare la natura sovversiva e anarcoide della frequentazione libresca, di un’attività così improduttiva ed effimera, viene in aiuto un libro, recente lettura estiva, secondo cui un altro lavoro è possibile. Almeno in teoria.
Il libro si intitola Lavoro: Una storia culturale e sociale e l’autore è l’antropologo James Suzman (pubblicato in Italia dal Saggiatore nel 2021). L’intenzione è ambiziosa: tracciare la storia del lavoro dagli albori dell’umanità – ancor più: dalla nascita della vita sulla Terra – ai giorni nostri. Quella della grande sintesi che abbraccia millenni di storia è un filone che sta avendo un ritorno di attualità e successo con autori di best-seller come Juval Harari (quello di Sapiens e Homo Deus) e con casi editoriali come L’alba di tutto di David Graeber e David Wengrow, ma che sia un genere di largo potenziale commerciale era già diventato chiaro con Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond a metà anni Novanta.
Mi avvicino a questo tipo di libri con curiosità mista a sospetto. Da un lato sono attratto come una falena dal rischio evidente dietro a progetti intellettuali così ambiziosi. La ricerca accademica in senso stretto tende ormai ad evitare i libri di argomento troppo ampio. Gli specialisti, almeno in Italia, si concentrano spesso su settori molto ristretti, e così sono anche le loro pubblicazioni. Quei titoli in controtendenza risaltano sugli scaffali e attirano il lettore curioso.
D’altro canto però mi rendo conto che la trappola è dietro l’angolo. Già lo studio di un argomento limitato apre a una serie infinita di dubbi e ripensamenti: le cose osservate da vicino sono sempre diverse rispetto alle prime ipotesi, basate su approssimazioni e notizie di seconda mano. Nuovi approfondimenti fanno cambiare spesso i punti di vista iniziali. Ogni argomento, per quanto ristretto, sembra richiedere ricerche infinite, prima di arrivare a qualsiasi certezza.
Dunque ci vuole coraggio, se non proprio incoscienza, per lanciarsi con disinvoltura nella trattazione di secoli e secoli. L’unico modo per passare attraverso una materia così vasta è per forza di cose tramite riassunti e informazioni di seconda mano, visto che è impossibile rifare tutte le ricerche sui documenti. Molto grande, insomma, la possibilità di errori, travisamenti, semplificazioni eccessive.
Spesso infatti a tenere insieme le grandi sintesi ci sono poche idee di fondo, magari affascinanti e di valore (come nel caso di cui parliamo oggi), di cui poi si vanno a ritrovare le prove nella storia del mondo. Non è difficile: gli eventi storici, in questi libri, sono in larga parte visti da una certa distanza. E da lontano le cose possono essere interpretate come qualcosa o il suo contrario: dopotutto, Napoleone può essere visto come un terribile despota o come l’incarnazione degli ideali della Rivoluzione. La verità è probabilmente un insieme delle due cose, ma le epoche, o i vari autori, lo hanno interpretato una volta in un modo e una volta in un altro.
L’idea forte alla base di Lavoro è che la nostra società basata sull’assillo dell’accumulo per il futuro e della pianificazione delle nostre attività, sulla centralità del lavoro e la massimizzazione delle ore passate a lavorare, è nata in un periodo preciso della storia umana, tutto sommato relativamente recente, con il passaggio all’agricoltura. La fondazione di insediamenti stabili e la costruzione delle pratiche sociali che ci stanno intorno ne è stata una conseguenza.
Ma un altro lavoro umano è possibile, dice Suzman: fino a pochi decenni fa esistevano ancora società di cacciatori-raccoglitori che avevano verso il lavoro, come verso il possesso dei beni materiali, un rapporto del tutto differente (l’autore prende ad esempio in particolare gli Ju/’hoansi, che ha studiato per molti anni nell’Africa meridionale, tra Namibia e Botswana). Poche ore la settimana bastavano a procurarsi il necessario per vivere, senza che nessuno avesse una grande necessità o voglia di avere di più e di accumulare oggetti. Il resto del tempo era speso in attività ludiche o sociali come il canto, il gioco, la discussione, i riti religiosi. Era una società egalitaria fino all’estremo, in cui chiunque avesse qualcosa in più veniva invitato a condividerla da antiche consuetudini e dalla pressione sociale.
Gran parte della ricostruzione storica di Suzman, passati i tempi più antichi, non è imperdibile: si sente che l’autore è costretto a basarsi su fonti di seconda mano e l’effetto è a tratti di un’esposizione da manuale scolastico, senza grandi interpretazioni originali. Certo, l’autore è bravo a condire il tutto con qualche aneddoto interessante che rende comunque piacevole la lettura. Le parti notevoli però sono quelle in cui il libro lavora per contrasto, nell’improbabile accostamento tra il nostro mondo odierno e i cacciatori-raccoglitori che ancora vivevano nel loro modo, immutato da millenni nella sostanza, fino alla seconda metà del XX secolo.
Il risultato è quello di far notare quanto della nostra organizzazione del lavoro (della nostra vita) diamo per scontato, come la necessità di avere sempre di più, il nostro soccombere a bisogni indotti, la fissazione per accantonare risorse per un futuro pensato in termini di anni o decenni. In breve, l’idea stessa alla base dell’economia: non a caso definita, da manuale, come la disciplina che studia la distribuzione di risorse scarse. Suzman insinua il dubbio che in realtà ci sia abbastanza per tutti e che l’ansia da scarsità sia soprattutto nella nostra testa. Nessuno di noi, ormai, può sfuggire davvero da questo modo di pensare, ormai inscindibile da come abbiamo organizzato il mondo intorno a noi, ma il libro di Suzman fa almeno riflettere e pensare che un altro modo di impostare le cose, almeno in teoria, sia possibile. Lettura perfetta prima che finisca l’estate e venga l’ora di tornare al lavoro.
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