La scorsa settimana ho parlato della scomparsa dei manoscritti. Un benvenuto a nuove iscritte e nuovi iscritti: qui trovate una presentazione mia e dei temi di cui parlo. Se quello che leggi qui sotto ti piace, condividilo a qualcuno che potrebbe apprezzare. Se non sei ancora iscritto/a, puoi ricevere questa newsletter nella tua casella di posta, ogni sabato mattina, cliccando qui.
Da ragazzo ero un grande appassionato di Jorge Luis Borges. Immagino di esserlo ancora, ma quando si è giovani tutte le passioni sono più forti e così anche gli amori letterari. Poi gli orizzonti si allargano e gli entusiasmi, se non si spengono, di certo si attenuano. La mia scoperta di Borges cominciò con i racconti dell’Aleph, continuò con Finzioni, e di lì a qualche mese mi ero letto tutto quello su cui ero riuscito a mettere le mani. I due volumi dei Meridiani con Tutte le opere arrivarono alla fine di un rigoroso percorso di risparmio degno di un motorino o del paio di Nike da competizione.
Grazie alla mia non motorizzata conquista, lessi e rilessi i racconti della Storia universale dell’infamia, e mi si aprirono mondi nuovi con i saggi di Altre inquisizioni e della Storia dell’eternità. Notoriamente i due generi, in Borges, non hanno quasi soluzione di continuità. Come trovai scritto da qualche parte nell’ennesima citazione irrintracciabile, Borges costruisce racconti che sembrano saggi e saggi che sembrano racconti. Il suo mondo sembra fatto solo di libri – nessun altro scrittore come lui appare così immerso nella sua biblioteca. Una celebre frase di Pirandello dice che «La vita, o si vive, o si scrive», e frequentando Borges si ha l’impressione che lo scrittore argentino avesse scelto la seconda opzione con una radicalità assoluta.
Tornerò, forse, su Borges, ma l’osservazione che volevo fare questa mattina è qualcosa su cui vado ragionando da un po’ di tempo e che in lui si manifesta con estrema chiarezza: molti scrittori hanno pochi, pochissimi temi, e quelli scrivono e riscrivono con variazioni sottili.
Borges, scrittore di idee e non di storie, ne è un ottimo esempio. Ha una sorprendente monotonia: i suoi temi sono il labirinto, l’infinito, l’identità. Non vorrei dire che tutto quanto ha scritto sia una combinazione di questi elementi, ma quasi. La biblioteca di Babele, probabilmente il suo racconto più famoso e a buon diritto uno dei più celebri racconti in assoluto, non è troppo diverso dall’Immortale, altro suo capolavoro: nel primo caso si parla di un labirinto infinito di libri, nel secondo di anni. Anche se la sua bibliografia non è certo piccola e attraversa più di mezzo secolo, si può dire che il messaggio di Borges sia tutto raccolto nella produzione di un quindicennio circa tra la fine degli anni Trenta e l’inizio dei Cinquanta, e in particolare in due antologie di racconti – L’Aleph e Finzioni – a cui si aggiunge qualche saggio straordinario e qualche bella poesia (non sono un grande fan delle sue poesie, devo ammettere). Molto di quanto ha scritto dopo è piuttosto ripetitivo e si ritrova in larga parte già altrove: penso a raccolte di racconti come Il libro di sabbia o Il manoscritto di Brodie, che anche il fan più appassionato difficilmente sarà spinto a rileggere più volte.
L’osservazione non toglie nulla alla grandezza di Borges. Individua piuttosto un genere di autore, quello che ripete sempre lo stesso libro, proprio come ci sono cantanti che scrivono sempre la stessa canzone. Ma quante volte ci fissiamo ad ascoltare lo stesso brano ancora e ancora? Lo stesso accade con gli scrittori monotoni. Anche scrivere un libro solo basta, se è un capolavoro.
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